1) Meritoriamente Radio Radicale ha trasmesso, integralmente, senza mediazione, i tre giorni di lavoro dell’Associazione nazionale dei magistrati (Anm) a Palermo.
Tutti con il loro compitino, per una manciata di minuti assegnati, letture monocordi e noiosette, frasi trite e ritrite. E un crescente sentimento di inquietudine, sfociato in vera e propria paura. Intervento dopo intervento, la conferma che si vive in un paese dove la magistratura fa paura.
In generale la pretesa che non si possano fare riforme sulla giustizia senza il loro consenso. Ma chi l’ha detto e dove sta scritto che il politico deve chiedere e ottenere il permesso della magistratura associata per mettere mano alle necessarie riforme sulla giustizia? Tutti gli intervenuti (e qualche politico si è prontamente accodato), si scagliano contro l’ipotesi della separazione delle carriere; dicono che è un falso problema, già ora pochissimi sono i casi di Pubblici ministeri che poi scelgono di fare i giudici.
Ma non è questione di quantità. È questione di principio. Sono due funzioni diverse. Devono essere esercitate in luoghi diversi, separati. I Pubblici Ministeri non si devono trovare, come oggi accade, gomito a gomito, con i giudici. Dicono che non è il problema, altre sono le urgenze. Ma se questo non è il problema, perché si scaldano tanto? Perché tirano in ballo Mussolini, Licio Gelli, che così si paralizzano le indagini e si mette la mordacchia ai magistrati. Come può essere questo finimondo, se come dicono, non è un problema?
Per il loro congresso hanno scelto Palermo. Siamo a pochi giorni da quel 23 maggio, anniversario della strage a Capaci. Molti hanno citato Giovanni Falcone.
Bene. Responsabilità del Pubblico Ministero: «Se vogliamo realisticamente affrontare i problemi, evitando di rifugiarci nel comodo ossequio formale dei principi, dobbiamo riconoscere che il vero problema è quello del controllo e della responsabilità del Pubblico Ministero per l’esercizio delle sue funzioni». Chi lo ha detto? Falcone. Convegno di studi giuridici a Senigallia, 15 marzo 1990.
Obbligatorietà dell’azione penale: «Mi sembra giunto il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del Pubblico Ministero finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività». Chi lo ha detto? Falcone, convegno di studi giuridici a Senigallia, 15 marzo 1990.
Separazione delle carriere: «Timidamente, tra molte esitazioni e preoccupazioni, comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del Pubblico Ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e quindi le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere…a me sembra che continuando a disciplinare unitariamente la carriera dei magistrati con funzioni giudicanti e quella dei magistrati requirenti, non si potranno cogliere normativamente le specificità delle funzioni requirenti e, quindi, non si potranno disciplinare adeguatamente quei passaggi centrali in cui in concreto si gioca l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero…». Chi lo ha detto? Falcone, in La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia, Rizzoli editore.
Non Mussolini, non Gelli, non qualche altro personaggio che vuole legare mani e piedi ai magistrati. Giovanni Falcone. Questa la situazione, questi i fatti.
2) Un “ciao” dolente a Franco Di Mare, collega per anni al Tg2. Che la terra ti sia finalmente lieve. Una vergogna, quello che ti è accaduto. Come è accaduto. Perché è accaduto: le balbettanti scuse accampate dalla RAI che ti ha dimenticato e lasciato solo. Che si faccia almeno tesoro del tuo ultimo appello: la fiducia nella ricerca scientifica, nel dovere di sperimentare, cercare, non darsi per vinti, dare e avere speranza.
3) Tra il silenzio e l’esilio ha scelto l’esilio Mohammad Rasoulof, genio e coscienza critica del cinema iraniano, in fuga da un Paese amatissimo ma da un sistema che definisce «brutale». Lo avevano condannato a otto anni di carcere, a una multa, alla confisca delle sue proprietà e alla fustigazione per propaganda contro lo Stato, colpevole per i suoi film non conformi ai dettami della Repubblica Islamica e per le tante volte in cui si è schierato. Siamo tutti solidali con Mohammad Rasoulof, vero sì?
4) Chissà che la colpa non sia l’essere arrivati troppo presto in pochi, ma a volte anche in troppi.