Anche quest’anno, inevitabile, un coro di «Il caro amico Giovanni», «Il maestro Falcone» … Trentadue anni fa Cosa Nostra fa saltare in aria e uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Vito Schifani.
Il vostro cronista come inviato ha vissuto tutta quella terribile stagione: il delitto di Salvo Lima. Poi gli altri: Falcone, Paolo Borsellino, Ignazio Salvo. Delitti diversi, persone diverse, naturalmente. Ma tutti di mafia, quella Cosa Nostra che faceva capo a Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Assieme a tanti altri colleghi ero a Palermo in quei giorni, poche ore dopo gli attentati; nonostante il tempo trascorso, ancora vive quelle scene. Sono vicende che, anche per una sorta di coscienza civica, vanno ricordate: è importante non smarrire la memoria di quello che è accaduto, cercare di capire perché.
Per quello che mi riguarda, ricordare Falcone significa certamente non dimenticare che Cosa Nostra gliel’aveva giurata, lo considerava il nemico numero 1. Ma non solo.
È il Consiglio Superiore della Magistratura a maggioranza a preferire, il 19 gennaio 1988, Antonino Meli a Falcone, quando Falcone si candida all’Ufficio Istruzione, al posto del dimissionario Antonino Caponnetto.
Sintesi della discussione al CSM. La proposta della commissione è a favore di Meli, «coniuga alla maggiore anzianità di ruolo, un quadro professionale apprezzabile, per cui pienamente idoneo»; la stessa commissione chiosa: «L’uomo giusto non è pertanto quegli che si prospetta in ipotesi preliminarmente il più idoneo alla copertura di un determinato posto, volta per volta oggetto di concorso, nel quale le qualità professionali vengono commisurate anche alle specificità ambientali, ma è innanzitutto quello scelto con criteri giusti e cioè legittimi».
Segue il dibattito. Marconi (relatore). È contro la nomina a favore di Falcone: «Accentrare il tutto in figure emblematiche pur nobilissime è di certo fuorviante e pericoloso…c’è un distorto protagonismo giudiziario…si trasmoda nel mito».
Brancaccio: dichiara voto di astensione, pensa che come Falcone c’è anche il dott. Motisi «anche lui splendido magistrato» che potrebbe dolersi del voto a favore del giudice Meli.
Abate: è il primo a pronunziarsi a favore di Falcone. Fa riferimento «alla delicatezza del momento» che impone al Consiglio «una scelta ben chiara che sia di continuità e non segni alcuno strappo… Falcone va preferito, senza toni da crociata, per il coraggio dimostrato in frangenti difficilissimi che non vanno assolutamente dimenticati».
Letizia: «Preferire Falcone significa contravvenire alla legge, in Italia non c’è solo lui a combattere la mafia e ricordo i tanti magistrati che lottano contro il traffico di stupefacenti. Della professionalità poi fa parte la modestia, il miglior segnale del Csm è quello di non scegliere Falcone».
Racheli: «Ma questa professionalità come la valutiamo, le spinte per cambiare sono tante ma poi rinviamo al momento opportuno, la commissione ci propone un giudice che è alle soglie della pensione, io voto contro questa indicazione».
Contri: «Falcone è titolare di una esperienza unica non solo in Italia contro la mafia, magistrato eccezionale».
Brutti: «Forse non ci si è resi conto che bisogna nominare il capo di un ufficio di frontiera, che sia degno successore del giudice Caponnetto, oggi la mafia continua a sfidarci, la risposta è scegliere l’uomo giusto al posto giusto, le norme ci consentono di superare il divario dell’anzianità tra i candidati in virtù di specifica motivata valutazione a favore del candidato meno anziano». Elenca poi circostanze nelle quali Meli ha mostrato «una caratteriale instabilità».
Tatozzi, dichiara di essere amico di Falcone e componente della stessa componente: «Nomina Falcone potrebbe essere interpretata come una sorta di dichiarazione di stato di emergenza degli uffici giudiziari di Palermo».
Morozzo Della Rocca: «La nomina non può essere caricata da significati simbolici, nominare Falcone non giova all’unità dell’ufficio».
Caselli: «La mafia non è una semplice emergenza, è un problema strutturale italiano, è una realtà quotidiana in molte zone, è un pericolo per la Democrazia, e lo Stato si difende sul versante giudiziario dalla mafia garantendo agli uffici giudiziari la migliore attrezzatura, l’essere astratti nel decidere provoca svuotamento degli uffici di ogni valore, per questo oggi l’ufficio istruzione deve fare un passo in avanti, il candidato indicatoci dalla commissione presenta elementi di rischio, mentre la scelta non è tra Meli e Falcone ma verso un uomo del pool. Mi chiedo come si possa parlare di privilegi per chi ha fatto determinate esperienze, per chi stando a Palermo vive in condizioni a tutti note e che rappresentano forte penalizzazione».
D’Ambrosio: «Ricordo una frase del generale Dalla Chiesa, quelli che sono lasciati soli dallo Stato sono destinati ad essere abbattuti dalla mafia».
Calogero: elenca le ragioni per non votare Meli, «contro il buon senso, contro le esigenze organizzative dell’ufficio, contro le esigenze di continuità».
Paciotti, vota Meli: «Mi preoccupa che la scelta da farsi venga dipinta con un più o con un meno impegno antimafia».
Smuraglia: «Scegliere Falcone significa attribuire un altro onere ad un magistrato costretto già a grandi sacrifici».
Ziccone, vota Falcone: «Individuare il candidato che meglio di altri può dirigere l’ufficio istruzione».
Geraci: «Il Consiglio non poteva lasciarsi influenzare dalla notorietà dei magistrati interessati… Falcone con la nomina assumerebbe le funzioni di Cassazione senza avere mai assunto quelle di appello… Le notorie doti di Falcone e i rapporti personali e professionali mi indurrebbero a sceglierlo ma mi è di ostacolo la personalità di Meli cui l’altissimo e silenzioso senso del dovere costò la deportazione nei campi nazisti, con sofferenza e umiltà esprimo questo voto».
Segue il voto sulla nomina.
A favore di Meli: Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo della Rocca, Paciotti, Suraci e Tatozzi.
Contrari: Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d’Ayala, Racheli, Smuraglia, Ziccone.
Astenuti: Lombardi, Mirabelli, Papa, Pennacchini, Sgroi.
Ancora: è il 1985. Leoluca Orlando diventa sindaco, inaugura quella che viene definita “Primavera di Palermo”. Il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo a conclusione del “maxiprocesso” ai capi di Cosa Nostra commina ben 19 ergastoli. Sentenza storica, che si deve al lavoro straordinario di un pool di magistrati coraggiosi, e in particolare Falcone e Paolo Borsellino. Tutti si attendono che il nuovo consigliere istruttore di Palermo, al posto di Caponnetto, sia lui, Falcone: ma il Csm sceglie Meli in omaggio al criterio dell’anzianità. A Falcone cominciano a voltare le spalle in tanti. Con Orlando un episodio scatenante: «Ce l’aveva con Falcone», ricorda l’ex ministro Claudio Martelli ad Annozero, nel 2009, «perché aveva riarrestato l’ex sindaco Vito Ciancimino con l’accusa di essere tornato a fare affari e appalti a Palermo con sindaco Orlando, questo l’ha raccontato Falcone al Csm per filo e per segno». Lo stesso Falcone, in conferenza stampa, spiega che Ciancimino è accusato di essere il manovratore di alcuni appalti col Comune sino al 1988.
Poi, quando Falcone accetta l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, una pioggia di accuse. Durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990 l’insinuazione di tenere documenti sui delitti eccellenti chiusi nei cassetti. Il riferimento è a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. «Sono convinto», dice Orlando, «che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti». L’accusa viene ripetuta da altri esponenti della Rete, il movimento di Orlando, tra gli altri Carmine Mancuso e Alfredo Galasso. In quei giorni uno slogan che fa epoca: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Falcone risponde: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti».
Il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, l’attacco viene da Galasso. Lo stesso Galasso, con Mancuso e Orlando, l’11 settembre precedente, presenta un esposto al Csm: si chiedono spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate, la loggia massonica Diaz e le famose carte nei cassetti. Il 15 ottobre Falcone deve discolparsi davanti al Csm. Sospira: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Francesco Cossiga nel 2008, intervistato dal Corriere della Sera dice: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via». Il 25 gennaio 1993, la sorella di Falcone, Maria, interviene telefonicamente a Mixer su Raidue. Riferendosi a Orlando, dice: «Hai infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario».
Non va poi dimenticato che quando Falcone si candida al Consiglio Superiore della Magistratura, a bocciarlo sono proprio i suoi colleghi magistrati che non lo votano, e scelgono altri candidati.
Quando viene costituita, da una sua idea, la Procura Nazionale Antimafia, il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferisce il procuratore di Palmi Agostino Cordova. Alessandro Pizzorusso, consigliere laico del CSM firma nella pagina due de “l’Unità” un lunghissimo articolo nel quale in sostanza si sostiene che Falcone non è affidabile perché ha accettato l’incarico al ministero della Giustizia.
Che Cosa Nostra, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro e gli altri boss mafiosi volessero Falcone morto, è nell’ordine delle cose. Ma Falcone ha dovuto patire anche una quantità di coltellate alla schiena da chi avrebbe dovuto invece sostenerlo e aiutarlo.
A trentadue anni dalla strage a Capaci anche questo va ricordato.