Intransigente con i Paesi membri che non rispettano le direttive comunitarie, Bruxelles diventa improvvisamente indulgente quando ad aggirare leggi, regole e regolamenti è la nomenclatura di casa: la sua casta politico-burocratica. Si tratta di una doppiezza che negli anni ha contribuito alla disaffezione della gente comune per l’Unione.
Adesso il problema è che l’ultima conferma di questa “doppiezza” è arrivata a fine maggio, cioè una settima prima della chiamata alle urne di 359 milioni di cittadini Ue che dovranno eleggere i 720 deputati del prossimo Parlamento. Brutto il momento e anche peggiore il tema: l’opacità dei finanziamenti privati ai partiti politici europei.
Già, perché da un’accurata indagine condotta da un pool internazionale di giornalisti è saltato fuori che i soldi privati arrivati nelle casse dei partiti vengono sì rendicontati Paese per Paese come finanziamenti legali, ma poi nella maggior parte dei casi la loro provenienza viene nascosta. Questione tutt’altro che irrilevante, perché l’assenza di una lista con nomi, cognomi e/o ragione sociale dei singoli donatori non permette di capire quando si è di fronte a una vera donazione o a qualcos’altro.
Ma, con buona pace della trasparenza, l’oscuramento dei finanziatori di quelle forze politiche che stanno per mandare i loro candidati eletti nel prossimo Parlamento Ue è una prassi. Come documenta la raccolta dati del consorzio giornalistico (coordinato dalla piattaforma Follow the money) che ha scritto l’inchiesta coinvolgendo 50 giornalisti di 24 paesi. Sono state analizzate centinaia di relazioni finanziarie messe a punto da quasi tutte le forze politiche in grado di eleggere eurodeputati alle prossime elezioni. Ed ecco i risultati: nelle casse dei partiti sono entrati ufficialmente 941 milioni di euro tra il 2019 e il 2022 (sono gli ultimi dati disponibili), ma la maggior parte di questo danaro (664 milioni) risultava di provenienza sconosciuta. Infatti nella maggior parte dei Paesi le liste dei donatori non sono accessibili ai cittadini e spesso restano precluse anche ai giornalisti.
Gran parte della opacità europea viene comunque dalla “virtuosa” Germania dove vengono tracciate solo le donazioni maggiori. Il risultato è che il 75 per cento delle elargizioni private risultano anonime. Nel piccolo ma ricchissimo Lussemburgo le liste non sono accessibili. E così i giornalisti che hanno curato l’inchiesta sui finanziamenti ai partiti, prima di consultare i registri, hanno dovuto firmare una dichiarazione in cui si impegnavano a non divulgare la lista dei nomi dei donatori.
Situazione anche peggiore in Belgio, dove gli elenchi dei donatori considerati “informazioni confidenziali” vengono custoditi in una sala del Parlamento alla quale possono accedere solo 17 deputati. In Francia non si può conoscere il nome di un donatore. Punto e basta. E la giustificazione addotta è quella della “privacy”. In Spagna invece una donazione diventa pubblica solo se supera i 25 mila euro.
Se le cose stanno così resta da chiedersi se una notizia del genere, alla vigilia delle europee, non abbia avuto la copertura mediatica che meritava. In Portogallo, per esempio, se ne è occupato con il dovuto rilievo solo il quotidiano Publico, che ha integrato l’inchiesta del pool internazionale mettendo a fuoco il forte aumento dei finanziamenti privati alla destra estremista. Ma siccome una sola rondine non fa Primavera, alla vigilia di un’elezione che potrebbe cambiare il volto dell’Ue, il sospetto è che il sistema politico-mediatico europeo, dopo aver oscurato le liste dei finanziatori privati dei partiti europei abbia deciso di oscurare anche l’inchiesta giornalistica che aveva sollevato il caso.