La settimana scorsa il governo ha approvato Il DL n. 73 “Misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie”. Da venerdì scorso 7 giugno è in Gazzetta Ufficiale. Il ministro della Salute pubblicamente ne aveva anticipato più volte i contenuti, prescindendo dall’attivazione della concertazione con le Regioni che pure hanno competenze costituzionali ripartite con lo Stato.
Dal provvedimento inizialmente prefigurato sono state espunte tutte le misure che comportavano impegni economici, spostate in un DDL che è a data indefinita, con risorse non ancora individuate e con esiti che si potranno valutare alla fine del suo iter parlamentare. Il governo, in buona sostanza, ha approvato un provvedimento al quale non è stato in grado di garantire la necessaria copertura finanziaria.
In presenza di uno stile di governo che enfatizza il rapporto diretto fra leadership e popolo si dovrebbe tener nel giusto conto il fatto che il 69% degli italiani, stando a una indagine Ipsos, afferma che è la sanità l’area su cui si dovrebbe investire.
Il giudizio che si può avanzare sull’azione di governo è pertanto severamente critico tenuto conto che l’abbattimento delle liste d’attesa ed il superamento della cronica carenza di medici e di altro personale sanitario era stato il perno degli impegni programmatici per la sanità e l’oggetto più rilevante dell’impianto della legge di bilancio 2024. Non si può per questo convenire con il ministro della salute quando afferma che con il citato DL si è in presenza di “un cambio di passo”.
La previsione della costituzione di una Piattaforma nazionale per le liste di attesa (art. 1 del DL n. 73) va considerata positiva. Si potrà avere, per la prima volta, uno strumento nazionale per monitorare, in modo rigoroso e con le stesse modalità, i tempi di attesa per le prestazioni sanitarie che, come sappiamo, nei fatti, non sono monitorate.
Perché lo stesso possa funzionare deve poter contare sulla collaborazione del ministero della Salute con le Regioni, cosa che nel DL non viene in evidenza. Molti degli interventi previsti sono a discrezione delle Regioni, molti sono inutili ripetizioni di disposizioni già in vigore. Gli stessi per essere operativi necessitano di una legislazione di secondo livello che contraddice la motivazione di urgenza del provvedimento (decreto-legge).
Per attuare il DL occorreranno sette adempimenti successivi con tempi e modi differenziati. Dei sette articoli del DL soltanto l’art. 7 ha un effettivo, concreto impatto riguardando la remunerazione di quei medici che al fine di ridurre le liste di attesa, su base volontaria, vorranno lavorare in attività extraoraria nelle festività e nei fine settimana. Si introduce una disposizione (che sta già aprendo una vivace discussione in sede tecnica e che riguarda le prestazioni aggiuntive) relativa ad una sorta di imposta sostitutiva sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15%. È la prima volta per pubblici dipendenti.
Il provvedimento avrebbe avuto una diversa possibile efficacia se anziché partire dall’idea di far lavorare di più chi già è sottoposto a pesanti carichi di lavoro, avesse mirato a far aumentare gli organici del personale a tempo indeterminato.
Quando poi si indicano provvedimenti per la cui copertura non si individuano ulteriori investimenti ma si rinvia all’esistente fabbisogno sanitario standard (art. 2 del DL: ”fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario”), si indica in effetti la strada della sottrazione di somme già previste e destinate ad altro. Contro questo vincolo va a sbattere l’applicazione della disposizione dell’art. 5 che afferma il superamento del tetto di spesa per il personale. La possibilità “per le Regioni che ne faranno richiesta” di portare il tetto al 15% nel 2024 diventa una scommessa, attese le attuali disponibilità economiche per il personale e generali di bilancio.
Servono investimenti specificamente destinati alle liste di attesa e serve un più generale finanziamento della sanità pubblica.
L’accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie è tuttavia obiettivo che non si risolve soltanto con interventi specifici per la riduzione delle liste di attesa. Come è stato osservato, quello che appare evidente è che la problematica del rispetto dei tempi di attesa ha bisogno che si agisca globalmente intervenendo con la programmazione, sulla prescrizione e nella produzione. Ridurre i tempi di attesa è diritto del cittadino e dovere del governo che vi deve concorrere con misure strutturali, con risorse adeguate e durature nel tempo. Separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti rinviando questi ultimi ad altri tempi non è la strada da percorrere.
Il processo che in modo interconnesso DL e DDL mettono in moto pone una riflessione seria sul finanziamento del SSN e su come maggiormente garantire le prestazioni sanitarie attraverso la riduzione dell’inappropriatezza nella domanda, intervenendo per rendere più efficace l’azione dei servizi sanitari, territoriali in specie, con un decisivo ricorso, che il PNRR supporta, alle tecnologie ed alla telemedicina così da garantire ai cittadini equità nell’accesso ed efficacia.
Seguitare ad affrontare le criticità delle liste di attesa guardando alle sole dinamiche prestazionali o alle sole questioni del finanziamento tuttavia ci allontana dalla soluzione di una questione di prima grandezza, da sempre all’ordine del giorno, la presa in carico del cittadino, parte costituente e qualificante dei sistemi sanitari pubblici.
Per garantire la presa in carico le Regioni si devono dotare di una organizzazione sanitaria del territorio che oggi seguita ad essere insufficiente. Il cittadino non ha avuto distretti sanitari in grado di garantirgli tutti i Lea distrettuali ed oggi non ha certezza di poter contare sulla struttura che con il riordino di cui al DM77 deve agire la presa in carico: le Case di comunità e gli ospedali di comunità. Il tema infatti non è solo quello delle prestazioni ma quello della presa in carico del bisogno di salute.
Senza organizzazione diversa, senza personale adeguato remunerato e motivato, con “competenze allargate” per quello infermieristico e tecnico cresciuto professionalmente nel tempo, il servizio sanitario universalistico non può stare ai tempi dell’evoluzione demografica ed epidemiologica in atto.
Per questo oggi più che mai è necessaria una riforma strutturale del SSN che ridia al cittadino la certezza che il suo Servizio sanitario c’è e, quando serve, si prende carico del suo bisogno di salute. Oggi più che mai è necessaria una riforma strutturale del SSN che dall’esperienza attuativa della precedente normazione, dalle criticità evidenziate di modello e di impianto tragga motivo per cambiare profondamente e per adeguare il Servizio Sanitario Nazionale. Il tempo di una riforma del SSN è maturo, come segnalano la legge di iniziativa popolare annunciata dalla CGIL e le tre proposte di riforma già presenti in parlamento.
Rino Giuliani Responsabile Sanità dello SPI CGIL di Roma e del Lazio