Ora che nei Palazzi dell’Ue lo danno in pole position per la presidenza del Consiglio europeo, l’ex premier socialista portoghese Antonio Costa viene presentato da alcuni giornali come una specie di Gesù risorto. Ma c’è anche chi preferisce l’immagine dello sconfitto che sta per prendersi la rivincita su chi ne aveva decretato la morte politica.
A prima vista, tutte e due le versioni sembrano verosimili. Sembrano. Perché un’analisi della caduta e del ritorno in scena dell’ex segretario socialista portoghese ridimensiona sia la tesi della resurrezione sia quella della rivincita. Per capire come sono andate veramente le cose, bisogna riavvolgere il nastro e rivedere uno dopo l’altro gli ultimi avvenimenti clou della politica portoghese. Osservando attentamente le dichiarazioni, le mosse e contromosse dell’ex premier.
Si parte dal 7 novembre 2023, giorno in cui improvvisamente si dimette da capo del governo e segretario del Partito socialista portoghese. Lo fa poco dopo un comunicato stampa con cui la Procura della Repubblica faceva sapere che il presidente del Consiglio era sospettato di corruzione. Per aver “favorito” alcune industrie straniere che stavano investendo molti soldi sull’idrogeno liquido e sul litio da estrarre nel nord del Paese.
La mossa di Costa, a cui carico non risultano imputazioni ma solo indizi e intercettazioni telefoniche di terzi, coglie tutti di sorpresa. A cominciare dal presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, che cerca di farlo tornare sui suoi passi e scongiurare lo scioglimento del Parlamento e le elezioni anticipate. Ma il premier è irremovibile e convoca rapidamente una conferenza stampa che va in onda a reti unificate.
Con fare pacato e senza dare segni apparenti di nervosismo elenca le sue ragioni. Primo, non è a conoscenza di provvedimenti contro di lui («Per quanto ne so non sono imputato né conosco gli atti sospettati»). Secondo: «Oggi sono quindi rimasto sorpreso dalla notizia, confermata ufficialmente dalla Procura…». Terzo: «Ovviamente sono pienamente disponibile a collaborare con il sistema giudiziario in qualunque cosa ritenga necessaria per scoprire tutta la verità…». Quarto e ultimo: «Va comunque chiarito subito che la dignità delle funzioni di Primo ministro non è compatibile con il sospetto di aver commesso qualsiasi atto criminale, motivo per cui ho ovviamente presentato le mie dimissioni al Presidente della Repubblica».
Sette mesi dopo, a rileggere queste parole con cui Costa ha messo fine al suo ciclo politico, al decennio in cui ha dominato la politica portoghese, si intravede un’abile strategia. L’obiettivo immediato è quello di uscire subito di scena in modo da non farsi logorare dagli avversari.
Ma c’è anche la voglia di cogliere al volo l’occasione dell’indagine giudiziaria per preparare una nuova carriera politica a Bruxelles. Una cosa a cui si sa che pensava da tempo. Almeno da quando ha raggiunto l’apice: la maggioranza assoluta socialista alle elezioni politiche del 2022. E comunque da quando dopo la formazione di un governo monocolore è cominciato un lento e inesorabile calo di consensi alimentato da una miriade di “casi e casini” legati a questo o quel ministro.
Ma ci sono altre due cose interessanti nella conferenza stampa con cui Costa comunica al Paese le dimissioni da tutti i suoi incarichi. Primo, il rapporto tra politica e magistratura che viene fuori quando si dice “sorpreso” dalla notizia data dalla Procura, in quanto non è imputato. Secondo, la “nobile” motivazione con cui dà le dimissioni, da “innocente”, perché «la dignità delle funzioni di Primo ministro non è compatibile con il sospetto…». È senza dubbio un’abile mossa per ricostruire la sua immagine pubblica in vista di un futuro politico.
E così appena vengono fuori le prime crepe nell’indagine giudiziaria, la Procura ne esce peggio del previsto e l’operazione influencer si sgonfia. Il Costa intercettato non è l’ex premier, ma un ministro con stesso cognome. Il Pubblico ministero si scusa sostenendo che si è trattato solo di un errore di trascrizione, ma ormai la frittata è fatta.
Intanto Costa preme per essere interrogato dai magistrati e dice di non capire le ragioni del ritardo. Finisce con l’ex premier che viene ascoltato e ha la possibilità di giocare a gatto e topo. Sostenendo di non aver commesso alcun abuso di potere, ma di aver semplicemente fatto quello che spetta alla politica quando governa: cercare di migliorare le condizioni economiche del Paese. Per farla breve, ha varato una legge (“Simplex”) al solo scopo di accelerare gli investimenti dei privati, semplificando i complessi iter burocratici zeppi di norme che rallentano i cantieri.
Intanto Costa, approfittando della guida del governo (per gli affari ordinari) che doveva mantenere fino alle elezioni anticipate del 10 marzo, trasformava il suo lungo addio alla politica portoghese in un grande spot. Un’occasione per annodare e riannodare relazioni. Come dimostra la grande festa organizzata a Bruxelles nell’ultimo Consiglio europeo a cui partecipa da premier del Portogallo. Abbracci, baci, foto ricordo e – soprattutto – incontri a quattr’occhi con alcuni leader europei che al momento opportuno potrebbero dargli una mano.
Ma siccome per andare a Bruxelles, Costa avrà bisogno prima di tutto dell’appoggio del Portogallo, eccolo all’opera per ottenere la benedizione del presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa con cui in passato ha avuto scontri e dissapori. Assicurando che il loro rapporto è stato “esemplare” dal punto di vista istituzionale. A questo punto anche Marcelo, che deve a Costa il suo secondo mandato da capo dello Stato, fa marcia indietro. Quando si comincia a parlare di Antonio Costa come del possibile nuovo presidente del Consiglio Ue, dice che ha tutte le carte per aspirare all’incarico. È il via libera all’archiviazione dell’indagine giudiziaria sull’ex premier.
Ma quello di Marcelo è un atto quasi obbligato, dal momento che “l’operazione influencer” è già stata demolita dalla stessa magistratura. Con il giudice di primo grado che ha fatto cadere le accuse di corruzione e abuso d’ufficio. E un altro giudice che, esaminate le carte dei Pm, affossa «il presunto piano criminale» dopo averlo definito «un insieme di meri proclami basati su deduzioni e supposizioni…».