Quattro luglio: negli Stati Uniti, un giorno speciale. L’equivalente del nostro 25 aprile. Il quattro luglio si celebra la giornata dell’Indipendenza: nel 1776 le allora tredici colonie americane (quelle che nella bandiera sono rappresentate dalle strisce rosse e bianche), proclamano a Philadelphia la loro indipendenza, con una Carta che promuove la libertà e l’uguaglianza: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità». È uno dei passi più famosi della Dichiarazione d’Indipendenza.
Un evento epocale, scatenato principalmente dall’oppressione da parte di un’Inghilterra miope e tirannica, e dalle tasse eccessive che impone. In Europa queste vicende infiammano popoli stanchi di doversi sottomettere ai sovrani, influenzano gli eventi storici che seguono. Tra questi, la Rivoluzione francese.
La Dichiarazione d’Indipendenza americana utilizza per la prima volta nella storia principi dell’Illuminismo come ideali fondanti della nuova nazione. Concetti come libertà personale e uguaglianza – che noi oggi forse diamo troppo per scontati – costituiscono un’enorme innovazione per quei tempi in cui una quantità di Stati sono oppressi da regimi assolutisti. Sarà solo con la Rivoluzione Francese che tali principi cominciano a diventare d’uso comune anche in Europa. Si fa strada l’idea che gli organismi di potere debbano essere eletti dai cittadini, che non esistono più sudditi.
Quella del quattro luglio, qui negli Stati Uniti, è una delle feste più sentite: cortei, celebrazioni, manifestazioni e anche tanto spettacolo; occasione anche per banchetti e barbecue, enormi grigliate nei parchi: una grande festa, insomma, di tutti, per tutti.
Così fa pensare che a quasi 250 anni dalla proclamazione dell’indipendenza e dei grandi principi sanciti dalla sua dichiarazione, gli Stati Uniti, la più grande democrazia del pianeta, stia attraversando una delle fasi più delicate e inquietanti della sua storia: da una parte, sia pure tra mille contraddizioni, i grandi ideali, i sacrosanti e universali valori e principi di libertà e uguaglianza, solennemente e collettivamente.
Contemporaneamente tutto questo viene smentito da un personaggio come Donald Trump, che rischia davvero di tornare a essere il presidente, il comandante in capo, nonostante si sappia benissimo chi è, cosa ha fatto, cosa è stato: una larga parte della popolazione degli Stati Uniti guarda a lui con fiducia fanatica e fideistica speranza. A rendere più fosco il quadro una Corte Suprema, organismo che dovrebbe difendere il Paese da abusi e violazioni, smaccatamente di parte, che perdona Trump per i fatti di Capitol Hill (un vero e proprio tentativo di colpo di stato), e con la sua recentissima sentenza accresce a dismisura i poteri di ogni futuro presidente, eliminando di fatto controlli o argini.
Mentre celebra la sua indipendenza e i valori che ne sono base e fondamento, la democrazia americana si rivela fragile, con deboli anticorpi, e corre seri pericoli. Non è fantascienza che a breve ci possano essere svolte autoritarie e repressive con conseguenze disastrose. Ovviamente buona parte di responsabilità ricade anche su chi a suo tempo non ha saputo o voluto contrastare il fenomeno. Tutto questo riguarda anche noi: perché tutto quello che accade negli Stati Uniti ha sempre, inevitabilmente, un ricasco nel resto del mondo.