Bologna è detta la turrita per la presenza di tante torri che, secondo Giovanni Gozzadini, nel XII e XIII secolo dovevano essere 180. Studi più recenti parlano di un centinaio di torri. Ce ne restano ventotto, tra cui tredici case-torri ad uso abitativo e quattro torresotti della cerchia muraria del Mille. Molte torri sono tuttora visibili, alcune invece sono inglobate in altri edifici.
I Galluzzi furono una delle più importanti famiglie di parte guelfa, amici acerrimi dei Ghibellini e soprattutto dei Carbonesi. Si distinsero nelle lotte tra le due fazioni per la loro crudeltà. Fondatore della stirpe, secondo la tradizione, fu un tal Pietro il cui figlio, Rolandino, fu nominato console per tre volte. Prima di Pietro, nel 1116. Picciola, figlia di C aveva fatto costruire la Chiesa di Santa Maria del Monte sul colle dell’Osservanza. Sul sito della Chiesa venne poi costruita l’attuale Villa Aldini.
Nel 1258 accadde un fatto clamoroso. Una ragazza della famiglia, Virginia, o Lelia secondo altri, si innamorò del giovane Alberto, degli odiati Carbonesi, sposandolo in segreto. Quando i fratelli di lei scoprirono il fatto li uccisero entrambi, simulando anche il suicidio della sorella, che fu trovata impiccata. Questo fatto è ricordato in una novella di Giovanni Sabbadino degli Arienti nelle sue Porrettane e divenne soggetto di varie tragedie. Le due famiglie e le loro fazioni si combatterono a lungo insanguinando le vie della città, quindici Galluzzi furono banditi ma gli scontri continuarono fino al 1279. Due Galluzzi comparvero nella lista dei lupi rapaci (1282) che cercavano di rovesciare il governo di Bologna per riprendersi i propri averi.
Nel 1313 è ricordato Alberto Galluzzi su cui pendeva una taglia di ben mille fiorini d’oro, depositati presso Romeo Pepoli banchiere, e che non si riusciva a catturare. Solo il padre Azzo riuscì ad avvicinarlo e a consegnarlo al boia. Si racconta che nel 1321 i Galluzzi cercarono di assassinare Romeo Pepoli e questi si salvò gettando monete d’oro agli inseguitori.
Nel 1329 un Galluzzi arciprete fu lasciato morire in gabbia per aver congiurato contro il cardinale Bertrando del Poggetto che oberava la città di tributi e restrizioni. Nel 1334 i Bolognesi, stanchi di tali soprusi, assediarono la C residenza del cardinale che era praticamente inespugnabile. Per espugnarla si agì con astuzia: per prima cosa fu deviato il corso d’acqua che portava alla fortezza, così da lasciarla senza approvvigionamento, poi si cominciò a raccogliere e lanciare all’interno della rocca… escrementi! L’assedio durò dieci giorni e alla fine i francesi, disgustati, se la diedero a gambe e il cardinale si salvò dal linciaggio grazie alla mediazione dei Fiorentini. Una battaglia senza morti e senza feriti ma la rocca fu distrutta dal popolo.
Nel 1355 i Visconti avevano assediato la città. L’esercito bolognese era guidato da Galeotto Malatesta. Si narra che a costui Francesca da Polenta, sposa di Alberto Galluzzi, mandasse tre fiaschi: uno dorato contenente giulebbe (una bevanda di frutta bollita e zuccherata), uno argentato con del vino e infine uno misto oro argento pieno di aceto rosato. Gli inviò anche una cassa piena di pane zuccherato ed una lettera con cui gli esprimeva il suo desiderio di vedere liberata Bologna. I Bolognesi, con la guida di Galeotto Malatesta, di Pietro Farnese e con il podestà Fernandez (spagnolo), uscirono dalla città, risalirono il fiume Savena fino al ponte di San Ruffillo, dove ingaggiarono battaglia sconfiggendo i nemici. I prigionieri furono più di 1000, più di 500 i morti.
Per festeggiare la vittoria di San Ruffillo, Francesca fece dipingere quella battaglia nella cappella a sinistra della Chiesa di San Francesco. Alberto Galluzzi nel 1390 militava con i conti di Panico e con i Pepoli nell’esercito visconteo, che sotto la condotta di Giacomo dal Verme minacciava Bologna. Alberto fu dichiarato nemico della patria, e le sue case furono distrutte ma le tegole, i mattoni e il legname furono portate alla fabbrica della Chiesa di S. Petronio, appena cominciata. Le congiure dei Galluzzi si susseguirono anche nel Quattrocento contro i Bentivoglio, contro il Cardinale legato e contro il governo popolare. I Galluzzi non parteciparono mai al governo ma furono ambasciatori e professori dello Studio: si ricordano tra il XIV e il XV secolo Bonifacio e Cristoforo, dottori di legge, e Antonio medico e filosofo. Nel 1476 i Riformatori dello Stato cedettero alla Chiesa di S. Petronio i diritti sulla Torre dei Galluzzi che nel 1549 passò ai Dolfi e poi ai Ratta. Oggi il piano terra della torre ospita una libreria dal cui interno è possibile vedere il tipo di murature originarie messe in evidenza da un recente restauro. La porta di accesso non è quella originale. Sulla Corte si affacciano dei negozi e un ristorante.
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