Dopo il terremoto politico inglese di giovedì 4 luglio, con il tracollo dei conservatori e i laburisti in maggioranza assoluta, domenica 7 tocca alla Francia, dove invece sarà la destra di Marine a correre per prendersi la maggioranza grazie ai ballottaggi.
Ma comunque vada il secondo turno, senza nemmeno conoscere l’esito delle urne, possiamo dire a Parigi è già emerso un dato politico incontestabile: la morte del macronismo. E se è vero che Emmanuel Macron, nonostante il disastro elettorale del suo partito, potrà continuare a fare il capo dello Stato fino alla scadenza del mandato (maggio 2027), è altrettanto vero che per i prossimi tre anni sarà un presidente dimezzato. Considerati i suoi 47 anni d’età, sarà di fatto quasi un giovane prepensionato della politica.
Vale allora la pena di ripercorrere la breve parabola dell’inquilino dell’Eliseo, che nel 2016 creò dal nulla un suo movimento politico, “né di destra né di sinistra” (“En marche!”). L’obiettivo immediato era quello di sbarrare il passo all’avanzata della destra frenando la corsa di Marine Le Pen lanciata verso una probabile vittoria alle presidenziali dell’anno successivo.
Con una grande ambizione programmatica: “Rivoluzionare” la politica francese azzerando i vecchi partiti. Ma dopo due mandati presidenziali e otto anni alla guida della Francia, il rottamatore Macron adesso sta per essere rottamato proprio da quella destra e da quella sinistra che voleva cancellare.
Domenica 30 giugno Renaissance (come dal 2022 si chiama “En marche!”) è infatti uscita con le ossa rotte dal primo turno delle elezioni politiche anticipate. Terzo posto. Dietro il vittorioso Rassemblement National della Le Pen e anche dietro l’alleanza elettorale tra radicali e socialisti.
A parte la sorpresa della rinascita della sinistra e del Partito socialista, la sconfitta del centro macroniano era un risultato annunciato, vista la crescente impopolarità di “Monsieur le President”, che non è mai riuscito a stabilire un feeling con i francesi. Percepito da molti come un potente distante dal popolo, il fondatore de “En Marche!” non è mai riuscito a proporsi come leader politico capace di capire le esigenze della gente comune e affrontare il disagio dei ceti meno abbienti colpiti duramente dall’inflazione e dall’aumento dei prezzi.
Umiliato al primo turno delle politiche, dove Ensemble (l’alleanza macroniana) si è fermata al 20,04% per cento, Monsieur le President in vista del ballottaggio ha deciso allora di giocare la carta della “desistenza” per alzare un muro e impedire alla destra di raggiungere la maggioranza assoluta nel prossimo Parlamento e di conseguenza la guida del governo. E così Macron ha proposto un accordo ai partiti anti-Le Pen per il ritiro dei candidati più deboli dai ballottaggi in modo da concentrare i voti sui candidati di centro o di sinistra con maggiori possibilità di vittoria.
Al di là del fatto che la scelta della desistenza potrebbe anche non bastare perché poi saranno gli elettori in carne ed ossa a decidere per chi votare, c’è da aggiungere che questa mossa tattica non basterà a evitare il tramonto di “En marche!”. Anzi, proponendo la desistenza per arginare l’onda nera lepenista, l’inquilino dell’Eliseo ha messo il futuro della sua creatura proprio nelle mani dei vecchi partiti che otto anni fa voleva cancellare e adesso decideranno cosa fare di ciò che resta del macronismo.