Bis di von der Leyen. Centra il bis anche Metsola. Ursula von der Leyen, popolare tedesca, è confermata presidente della Commissione europea, Roberta Metsola, popolare maltese, resta alla presidenza dell’Europarlamento.
Tutto è confermato. Alla guida della Banca centrale europea (Bce) c’è sempre Christine Lagarde, francese, vicina al centrista Macron, perché il suo mandato di presidente non è scaduto. Unica novità: presidente del Consiglio europeo diventa Antonio Costa, socialista, portoghese. Costa, nominato dai governi europei, è l’unico volto nuovo nei quattro incarichi chiave dell’Unione europea. Metsola è rieletta dal Parlamento europeo a larghissima maggioranza. Ursula von der Leyen, unica candidata nel ruolo più importante della Ue, è contestata dalle destre estreme e dalle sinistre radicali. È votata da una maggioranza composta da popolari, socialisti, liberali e verdi. Sono i partiti che, tranne i popolari, sono usciti con le ossa rotte dalle elezioni dello scorso giugno per l’Europarlamento. All’ultimo momento vota contro anche Fratelli d’Italia, il partito post fascista di Giorgia Meloni impegnato in una grande metamorfosi di destra democratica.
Bis di von der Leyen. Chiedendo la fiducia all’Europarlamento, indica molta continuità in politica estera e in politica interna. Parla di qualche aggiustamento del tiro sulla conversione ecologica dell’economia e sull’immigrazione. Il primo obiettivo è il «rafforzamento della nostra democrazia» dagli attacchi esterni ed interni. Assicura: «Non accetterò che gli estremismi e le demagogie distruggano il nostro stile di vita europeo». Il messaggio è ai radicalismi e sovranismi di destra e sinistra. Non è una impresa facile. Il voto di protesta ha trionfato nelle elezioni europee di giugno soprattutto su tre caposaldi: alt alla guerra in Ucraina, no ai costi della transizione ecologica, basta con l’immigrazione di massa dall’Africa e dall’Asia.
Su questi problemi tutto il panorama politico del continente è stato terremotato. In Francia e in Germania, le due nazioni chiave della Ue, hanno sfondato le destre estreme. Emmanuel Macron ha sciolto le Camere e indetto le elezioni politiche anticipate ma un nuovo governo ancora non si vede perché né la destra radicale di Marine Le Pen, né l’alleanza centrista di Macron, né il Nuovo Fronte Popolare (sinistra critica, socialisti, verdi, comunisti) hanno i voti per formare un nuovo esecutivo.
Centristi e sinistre trattano per un nuovo esecutivo, però il partito di Le Pen è il più forte della Francia. In Germania il governo di Olaf Scholz (socialdemocratici, verdi liberali) è rimasto in piedi per un soffio. La Spd di Scholz è crollata al 14% dei voti, analoga disfatta hanno subito i verdi. Per i socialdemocratici tedeschi è il peggior risultato di sempre. Sono stati superati dall’estrema destra di Alternativa per la Germania. Il partito di destra nazionalista con venature neonaziste è diventato addirittura la prima forza politica delle regioni orientali della Repubblica federale tedesca, l’ex Germania comunista. Sia in Francia e sia in Germania l’estrema destra ha dato una risposta alle paure del ceto medio precarizzato e impoverito che un tempo votava a sinistra.
Gli operai e gli agricoltori rischiano di pagare il conto più salato della transizione ecologica. Un esempio. L’abbandono delle vetture termiche, a benzina e diesel, in favore di quelle a trazione elettrica meno inquinanti rischia di demolire l’industria automobilistica europea, non competitiva rispetto alla concorrenza delle vetture cinesi vendute a prezzi molto bassi. La chiusura delle fabbriche di auto e la disoccupazione per migliaia di lavoratori sono già oggi una realtà e non solo uno spauracchio. Basta vedere quello che sta succedendo nelle fabbriche italiane: Grugliasco ha chiuso i battenti, Mirafiori e le aziende dell’indotto auto di Torino sono in coma. Prepensionamenti, cassa integrazione, contratti di solidarietà, incentivi all’esodo piovono su tutti gli stabilimenti Stellantis del Belpaese.
Non a caso Ursula von Der Leyen sembra ipotizzare una revisione al divieto di produrre autovetture a combustione dal 2035. Ci potrebbe essere il disco verde al efuel, il cosiddetto combustibile sintetico senza impatto ambientale. Prodi si è battuto senza successo per il sì alle vetture con i nuovi motori a combustione non inquinanti.
Bis di von der Leyen. La fine della guerra in Ucraina è un passaggio decisivo. Ci sono alcuni segnali. Per la prima volta Volodymyr Zelensky dice sì a delle trattative di pace dirette con la Russia. E il presidente ucraino, caso strano, indica novembre per la conferenza di pace progettata, lo stesso mese nel quale si svolgeranno le elezioni presidenziali americane nelle quali è favorito Donald Trump, deciso a chiudere il conflitto, mentre Joe Biden è ormai fuori dai giochi. Ma per ora l’Europa è ferma e divisa, come avviene dall’inizio della guerra nel febbraio 2022. Bruxelles sostiene con aiuti e armi l’Ucraina sulla scia della strategia statunitense ma non ha mai nemmeno provato a ergersi come mediatore per trattare un cessate il fuoco. Per ora continua l’immobilismo.