Tutti si riempiono la bocca fingendosi paladini della libertà di stampa e, allorquando un giornalista viene preso di mira, a parole si affrettano a far comunicati o messaggi tweet per dare una solidarietà di maniera.
Peccato infatti che sulle questioni strutturali serie che attengono alla libertà di pensiero e di stampa, vale a dire la possibilità di scrivere liberamente di un fatto esattamente la verità citando addirittura le fonti, ecco che gli stessi che hanno fatto la corsa per arrivare primi della gara del comunicatificio ipocrita e solidale, sono proprio coloro che mettono il bavaglio e la mordacchia ai giornalisti.
E sotto sotto vorrebbero la chiusura di programmi scomodi come Report, e la censura sui giornali e sul web delle notizie che li vedono coinvolti. Vorrebbero cioè impedire la pubblicazione delle intercettazioni, vorrebbero evitare di riconoscere al giornalista quello status sociale economico e di non precarietà che consenta il fiorire di penne argute e libere e non di pennivendoli al servizio del potere di turno.
La libertà di stampa attiene al concetto di democrazia ed è cartina tornasole della agibilità democratica di un Paese. Mai come oggi l’Italia, in balia di un governo a dir poco confuso sulle linee programmatiche fondamentali di sicurezza nazionale, politica estera e interna e giustizia, evidenziando tra l’altro un concetto più che confuso di garantismo, nel senso che la legge deve essere inesorabile contro i nemici ma salvaguardare gli amici, ha bisogno di penne valide, coraggiose, argute e non politically correct. Perché il re è nudo da anni. E tra l’essere uno stato e una nazione sovrana e non una colonia non passa il mare, ma l’Oceano.