Molte donne afghane si sono battute per l’emancipazione femminile e contro l’estremismo religioso islamico. La regina Soraya Tarzi, all’inizio del 1900, combatté in Afghanistan per la parità dei diritti con gli uomini. Adesso la pittrice Shamsia Hassani lotta con le sue opere contro la repressione dei diritti delle donne del regime talebano. Ce ne parla Maria Luisa Berti.
L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan (RAWA) condanna i Talebani come i più misogini e sanguinari nemici del popolo. Per loro le donne sono solo oggetto di desiderio maschile e di oppressione e chi tenta di opporsi dovrà affrontare mille pericoli, tra cui l’arresto, torture e morte.
Anche con le lettere e le arti le donne esprimono la loro ribellione. In questi ultimi anni i social riportavano le opere di una pittrice afghana, Shamsia Hassani, nata nel 1988 a Teheran dove i suoi genitori, originari di Kandahar, erano emigrati durante la guerriglia tra i sovietici e i mujaheddin afghani. Hassani mostrò interesse per la pittura fin da bambina, ma non le era permesso di studiare le arti, studi vietati agli studenti afghani.
Tornata in Afghanistan nel 2005, iniziò a studiare arte tradizionale all’università di Kabul. Trovò lavoro come docente incaricata e in seguito professoressa di scultura presso l’università fino al 2021. Ora vive nascosta a causa della sua attività di street writer a favore delle donne afgane. I suoi murales vengono cancellati dalle autorità, ma lei non si ferma, perché “l’arte è più forte della guerra”.
Nelle sue pitture, visibili sul web, le donne sono protagoniste: appaiono col velo e all’ombra di uomini armati, suonano, danzano, vanno a scuola, cercano la libertà sull’altalena o seguendo un aquilone. Il suo è un messaggio molto forte che mostra il coraggio della ribellione verso la tirannia e la speranza di una liberazione.
Su Altreconomia del 23 marzo 2021, Manuela Valsecchi ci parla della poetica femminile afghana. Poetesse anonime diffondono oralmente messaggi di resistenza e denuncia delle violenze attraverso i Landay, versi di un’antica tradizione poetica orale pashto che risale al 1700, quando le popolazioni nomadi di questa etnia usavano spostarsi in lunghe carovane dall’Afghanistan verso il Pakistan o l’India. Durante il viaggio gli amanti, per comunicare, usavano poesie di due versi (distici).
Un’usanza che è diventata caratteristica di feste e matrimoni durante i quali i versi venivano recitati accompagnati dal suono del tamburo e dalle danze. I Landay attuali sono creati da donne quasi analfabete, in forma anonima e con un linguaggio semplice ma chiaro e provocatorio.
“Ordini stupidamente di tacere,
non capisci che la voce della verità è più forte del tuo raglio.
Non è manipolando le frasi dei Profeti
Che la tua ignoranza diverrà verità”.
Secondo articolo – Fine