Le migliori notizie possono arrivare per caso. Giulio Scarrone incrocia il sottoscritto in un corridoio della redazione de l’Avanti! a Roma, in via Tomacelli. A sorpresa dice: «Vieni a lavorare al politico!?». Il vostro cronista capisce che si tratta di un invito più che di una domanda. Risponde titubante: «Non ho mai fatto il politico…». La replica è netta e non ammette un no: «Imparerai velocemente».
La risposta alla fine è sì. Scarrone, capo del servizio politico de l’Avanti!, ha il problema di un buco da chiudere perché un suo redattore è passato a un altro quotidiano. E c’è il grande salto. Il vostro cronista a 32 anni lascia il servizio sindacale-economico e passa al politico, il cuore del giornale del Psi. Sarà il periodo più bello ed entusiasmante della sua vita professionale.
I ricordi tornano alla mente tumultuosi dopo la terribile notizia arrivata la mattina di domenica 28 luglio. Un messaggio sul telefonino annuncia: Giulio Scarrone non c’è più. Il figlio Danilo scrive: «Giulio se n’è andato». Giulio muore a 93 anni. Ero andato a trovarlo qualche mese fa in una Rsa, una brutta sigla che sta per Residenza sanitaria anziani. Non era più autonomo, aveva bisogno di assistenza. Era un po’ malandato sul piano fisico, ma lucidissimo sul piano intellettivo. Trasudava ancora interesse e passione politica. La sua diagnosi sul disastro politico italiano è da manuale: la sinistra frammentata e inesistente ha causato la vittoria della destra arrogante, il populismo dei cinquestelle tenta senza successo una conversione riformista.
Giulio Scarrone aveva quattro pallini: il giornalismo, la politica, la musica lirica e la buona cucina. Su questi quattro punti cardinali ruotava la sua vita. Scriveva con una prosa chiara, fluente, argomentata, documentata. I contenuti prevalevano sulla forma. Una impostazione da maestro. Giornalista e socialista, un binomio inscindibile nella sua impostazione. Con una caratteristica oggi rara: autonomo nei giudizi. La sua storia professionale e politica comincia negli anni Cinquanta. Conosce tutti i grandi nomi del socialismo italiano: Nenni, Pertini, Lombardi, Morandi, Vassalli, Vecchietti, Valori, Mancini, De Martino, Craxi.
Ha una sbandata per lo Psiup, fa la scissione nel 1964 contro il varo del centro-sinistra con la Dc, poi torna nel Psi la sua casa di sempre. Confidava: «È stato un errore, la scissione dello Psiup ha indebolito la forza riformista del Psi». I finanziamenti alla scissione? Mosca, l’Eni, la Dc? Sosteneva: «Fanfani voleva indebolire la carica innovativa e riformista dei socialisti». Ideali e realismo politico erano un binomio inscindibile. La giustizia sociale deve fare i conti con il capitalismo, avvertiva temendo i disastri della demagogia e del massimalismo.
Simpatico, alla mano, con battute caustiche toscane, versione Massa Carrara. Iroso sulle questioni di principio. Con lui lavoravo in piena autonomia e libertà, come del resto era già avvenuto con Sandro Sabbatini e Giorgio Lauzi al servizio sindacale-economico. Seguivo la tempestosa navigazione del governo Craxi. Scrivevo sulla Dc, sulle dispute per la leadership tra Forlani, Andreotti, Piccoli, Gava, Scotti, Cossiga, Donat Cattin, Bodrato e De Mita.
Scrivevo sui “compagni” del Pci visti nella doppia veste di possibili alleati e concorrenti per costruire l’alternativa di sinistra. Sotto la sua guida imparai a distinguere i berlingueriani (Natta, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Angius, Mussi, Tortorella, Petruccioli, Folena); i miglioristi (Napolitano, Chiaromonte, Colajanni, Pajetta, Macaluso, Ferrara, Cervetti, Ranieri, Minopoli); gli ingraiani (lo stesso Ingrao e uomini come Bassolino e Reichlin); i cossuttiani (oltre a Cossutta Libertini); gli ex Pdup (come Magri e Crucianelli). Ogni tanto, nel pomeriggio, andavamo al Caffè Antille, sempre in via Tomacelli, per bere qualcosa e spezzare la tensione.
Scrisse anche vari libri. In particolare diede alle stampe assieme a Francesco Colucci “Perché fu ucciso Matteotti?”. Portò alla luce fatti nuovi sui motivi del rapimento e dell’assassinio da parte di squadristi fascisti nel 1924, giusto cento anni fa. Il deputato socialista e segretario del Partito socialista unitario, secondo Scarrone, fu eliminato dal regime di Mussolini non solo perché aveva denunciato i brogli e le violenze nelle elezioni politiche ma anche perché stava per divulgare le prove di tangenti da parte della società petrolifera Sinclair.
Scarrone era rimasto sconvolto dalla distruzione del Psi dopo Tangentopoli, l’inchiesta sul finanziamento irregolare ai partiti. Commentava amaro e addolorato: «Mi hanno bruciato la casa!». Ce l’aveva con le inchieste a senso unico della magistratura, con le campagne forcaiole del Msi e della Lega. Con la gogna mediatica dei giornali e delle televisioni. Ma in particolare non perdonava ai post ed ex comunisti di aver partecipato all’assalto del Psi con la speranza di ereditare gli elettori e di conquistare la supremazia a sinistra. Ma il Pci-Pds-Ds-Pd ha perso la sua scommessa e ha lasciato campo libero, via via, alle destre e a vari populismi: Berlusconi, Bossi, Grillo, Salvini, Meloni. Una forte e incisiva sinistra riformista non c’è. Da due anni l’Italia naviga tra mille difficoltà guidata da Giorgia Meloni, post fascista, premier di un governo di destra centro.