Sovranista in patria e atlantista in politica estera, Giorgia Meloni si è mossa con spregiudicatezza fin dal suo primo giorno a Palazzo Chigi. In un abile slalom che in pochi mesi le ha consentito di portare a casa due risultati opposti.
Conservare la fiducia dei suoi elettori, che avevano fatto di FdI il partito più votato alle politiche del 25 settembre 2022, e allo stesso tempo rassicurare Bruxelles, Washington e quei premier democratici che l’avevano accolta come una pericolosa leader di destra alla guida di un governo estremista. L’atlantismo «senza se e senza ma» ribadito nei tanti faccia a faccia con i leader Occidentali ha rapidamente consentito alla premier italiana di modificare la sua immagine all’estero. Anche perché il temuto avvicinamento italiano all’Ungheria e alla Polonia in sede Ue non c’era stato e perché la Meloni è subito corsa dal presidente Usa Biden per confermare la piena adesione dell’Italia alla Nato.
E così l’autorevole New York Times, dopo i primi 100 giorni di governo, le ha dedicato una lusinghiera analisi, che poteva perfino suonare come un mea culpa per i titoli e gli articoli non proprio lusinghieri con cui l’aveva accolta all’inizio. Ecco il passaggio chiave: «La leader di estrema destra, che sembrava costituire un pericolo per la democrazia italiana, finora ha governato in modo molto meno ideologico e autoritario del previsto». E ancora: «Quello che doveva essere, secondo diverse narrazioni nazionali e internazionali, un governo potenzialmente pericoloso per la democrazia, non lo sembra poi così tanto. Anzi, Meloni, sta governando in modo molto ‘ordinario’. Ha placato le preoccupazioni internazionali sulla capacità dell’Italia di onorare i propri debiti, approvando un bilancio misurato. Ha avuto incontri cordiali con i leader dell’Unione Europea e ha smorzato la sua invettiva contro i migranti e le élite. Ha seguito le orme del suo predecessore, Mario Draghi, cercando di portare a termine il suo progetto per modernizzare il Paese utilizzando i miliardi di euro di fondi Ue per la ripresa dalla pandemia…».
Ma alla vigilia delle Europee di giugno, ecco che Giorgia Meloni decide improvvisamente di cambiare l’immagine di “moderata” conquistata fuori dalle mura domestiche. Lo fa lanciando una campagna elettorale d’attacco, tutta tesa a sottolineare la sua identità di destra. Con l’obiettivo dichiarato di accrescere il suo potere nell’Ue. Lo slogan con cui adesso si presenta capolista FdI in tutte le circoscrizioni («scrivete Giorgia e cambieremo l’Europa») rivela chiaramente l’ambizione di «mandare la sinistra all’opposizione» anche nel Parlamento europeo. D’altra parte, stando ai sondaggi, una decisa crescita dell’Ecr, il gruppo politico dei conservatori europei di cui Meloni è presidente, potrebbe spostare a destra la maggioranza di centrosinistra che da anni governa nell’Unione.
Ma il 10 giugno i risultati del voto europeo fanno svanire il sogno della leader italiana. E se FdI si conferma primo partito in Italia mantenendo buona parte del suo elettorato del 2022, gli equilibri politici all’interno del Parlamento Europeo rimangono sostanzialmente inalterati. L’avanzata della destra radicale non riesce a mettere in minoranza la coalizione di centrosinistra, la cosiddetta “maggioranza Ursula”.
Questo consentirà alla Von der Leyen di fare il bis alleandosi con i Verdi e bruciando la Meloni. Il 19 luglio verrà rieletta senza problemi dal nuovo Parlamento europeo con i voti dei soli eurodeputati popolari, socialisti, liberali e verdi. Quindi senza dover ricorrere all’aiutino dei Conservatori europei che la premier italiana aveva contrattato fino all’ultimo minuto. Il risultato è che Meloni a quel punto deve votare contro il bis dell’ex “amica Ursula” condannando l’Italia a restare ai margini dei prossimi vertici Ue. Con tutto quello che ne potrebbe derivare, considerate le difficoltà del nostro Paese e le partite aperte con l’Unione. Deficit pubblico, fondi europei, procedure d’infrazione come quelle sulle concessioni balneari, eccetera, eccetera.
Dopo la fine dell’idillio con l’Ue, per Giorgia Meloni adesso minacciano di complicarsi anche i rapporti con la Nato. Perché il suo atlantismo «senza se e senza ma» è stato appena messo in discussione dall’avanzata dell’esercito ucraino in territorio russo. Appoggiata dall’Ue e dalla Nato come parte del diritto di Kiev a difendersi dall’aggressore Putin, l’offensiva di Zelensky ha fatto storcere il muso al governo italiano creando una frattura con gli alleati. Infatti, secondo il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, «nessun Paese deve invadere un altro Paese». Anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani prende le distanze con un secco: «Non siamo in guerra con la Russia». E così per la prima volta sull’Ucraina emerge una posizione italiana diversa da quella europea e degli Stati Uniti.