Una domanda mi arroventa le cervella: ma se Tizio (che è un malfattore) ruba una cosa, questa diventa sua sol perché ne è in provvisorio possesso?
La risposta a questa domanda – che è chiaramente retorica – è no, la cosa non è di Tizio. E la conseguenza naturale, prima ancora che giuridica, è che Tizio (il malfattore) deve restituirla al legittimo proprietario. Ma è qui che, come si suol dire, “casca l’asino”.
Tizio e i suoi cattivi compagni se ne fregano della verità che deriva dal diritto e dall’etica e quindi si dimenano a negarla rifugiandosi in tesi iperboliche:
– è la volontà divina,
– la cosa appartiene a Tizio perché gli è caduta tra le mani,
– ormai ce l’ha lui e quindi non si può più fare niente,
– siamo in otto che diciamo che è sua e quindi è proprio sua,
– e tante altre ridicolaggini di eguali misura e intensità.
Ma la verità, per fortuna, ha una sua forza intrinseca che è incontenibile e si afferma in qualsiasi animo, anche in quello di colui che la vuole negare sapendo di negarla. Può farlo, certo, può mentire agli altri, può persino apparire credibile e ingannare provvisoriamente anche chi esercita la giurisdizione, ma non può mentire a se stesso.
Egli, infatti, sa bene qual è la verità: la cosa non è di Tizio, perché questi l’ha rubata.
Ma ciò che più mi inquieta non è Tizio, non è il ladro, ma sono coloro che, chissà per quale motivo, si sforzano di difenderlo e di gridare ai quattro venti che la cosa è di Tizio perché è lui che ce l’ha in mano. Delle due l’una: o sono ingenui, e quindi è bene che aprano gli occhi, oppure sono come Tizio e dunque ne sono complici. Non c’è altra via.
Ma la consolazione piano piano si fa strada nel mio animo e rasserena anche il cervello: la verità prima o poi viene sempre a galla, è un fatto ineludibile e naturale. E nessuno può fermarla.
La verità, che è impetuosa come i “torbidi torrenti” invernali di cui ha scritto Corrado Alvaro in “Gente in Aspromonte”, travolgerà certamente e per primo il ladro, ma, inesorabilmente, anche i suoi complici.