«È il piano di Maduro. Sembra emergere direttamente dal Venezuela o l’Unione Sovietica». Con queste parole Donald Trump ha descritto il piano sull’economia annunciato dalla sua avversaria Kamala Harris all’elezione del 5 novembre.
La Harris si trova leggermente avanti nei sondaggi a livello nazionale e anche in parecchi degli “Swing States”, gli Stati in bilico che determineranno l’esito finale per la conquista della Casa Bianca. Nel campo dell’economia e del controllo dell’inflazione, però, la candidata democratica rimane un po’ indietro poiché gli americani le danno meno fiducia (42% a 48%), un po’ meglio però di come vedevano Joe Biden.
Il piano della Harris annunciato in un discorso in North Carolina è stato etichettato come populista per i contenuti. Include un attacco al carovita specialmente al costo dei generi alimentari, che negli ultimi anni sono aumentati notevolmente. Questi prezzi più alti colpiscono ovviamente i ceti più bassi. La Harris li controllerebbe mediante azione governativa introducendo multe alle aziende che approfittano per la carenza dei prodotti basici aumentando i prezzi in maniera spropositata.
Per aiutare le famiglie a comprare la prima casa la Harris ha proposto un credito di 25 mila dollari vedendo l’investimento come ossigeno all’economia poiché l’acquisto di una casa include altre spese che stimolano la circolazione del denaro. La Harris cancellerebbe i debiti incorsi in spese mediche e aumenterebbe le detrazioni fiscali fino a 6 mila dollari per le famiglie nel primo anno di vita del figlio. Riattiverebbe il credito di 3.600 dollari per ogni figlio minore iniziato da Biden che scadrà l’anno prossimo. Mirerebbe anche a ridurre i costi delle medicine ampliando la riduzione del costo di insulina a 35 dollari per coprire tutti gli americani e non solo gli anziani che godono del Medicare, l’assicurazione medica per gli over 65.
Gli economisti hanno messo in dubbio il controllo dei prezzi sui generi alimentari che sarebbe difficile da implementare. Ciononostante la mossa di Harris è molto popolare con la stragrande maggioranza degli americani, secondo alcuni sondaggi. Come si definirebbero profitti spropositati rimane in dubbio. Alcuni hanno anche notato che non ha incluso aumenti alle tasse per coloro che guadagnano più di 400 mila dollari l’anno, come aveva proposto Biden. Tutto sommato un piano che riflette i valori della Harris per assistere le famiglie di ceti bassi e di classe media.
Al di là dei suoi attacchi al piano della candidata democratica, Trump ha indicato che nella sua nuova amministrazione eliminerebbe l’inflazione e sistemerebbe l’economia in modo meraviglioso. Spara sempre grosso ma sembra non capire come funziona l’economia. Uno dei punti forti secondo lui sarebbero i dazi sulle importazioni che Trump ha identificato come tasse per i Paesi esportatori che, a dir suo, non avrebbero nessun impatto per i consumatori americani. Tutti gli analisti vedono i dazi come problematici poiché aumenterebbero il costo dei prodotti importati, traducendosi in effetti in una tassa a tutti gli americani. Avrebbero anche altri effetti negativi poiché i Paesi colpiti da questi dazi controbatterebbero anche loro con dazi ai prodotti importati dagli Usa. Lo abbiamo visto con i dazi imposti alla Cina nel 2018 che sono costati miliardi di perdite agli agricoltori americani. Per affievolire il colpo causato dai dazi Trump dovette risarcire gli agricoltori che lo avevano aiutato a vincere l’elezione due anni prima.
Se il piano di Harris si concentra sui ceti bassi e medi Trump non ha fatto un segreto che continuerebbe a ridurre le tasse che beneficiano i più facoltosi. In un incontro con esecutivi dell’industria petrolifera Trump ha chiesto il contributo di un miliardo di dollari spiegando loro che sarebbe un grande affare considerando i profitti che ne farebbero se lui fosse rieletto presidente. Trump ha anche promesso loro di effettuare «i tagli fiscali più grandi della storia».
I piani economici dei due candidati rappresentano promesse che con ogni probabilità saranno difficilmente messe in pratica indipendentemente da chi sarà eletto a novembre. Ciononostante ci dicono molto sulle priorità e i valori dei due candidati. Al di là di chi sarà alla Casa Bianca, nuove leggi sul bilancio avranno bisogno della cooperazione legislativa. In questo senso i democratici potrebbero avere speranze di conquistare la Camera. Ce lo confermano le dichiarazioni di Mike Johnson, repubblicano della Louisiana e speaker della Camera Bassa, il quale ha espresso preoccupazione sulle prospettive di mantenere la maggioranza del suo partito con l’elezione di novembre. I democratici da parte loro avrebbero difficoltà a mantenere la risicata maggioranza al Senato, al momento 51 vs. 49. Ribaltare due Stati potrebbe dunque consegnare il controllo della Camera Alta nelle mani dei repubblicani. Il ritiro di Biden ha però incoraggiato le prospettive dei parlamentari e senatori democratici che vedevano le loro chance di vittoria trascinate verso il basso con Biden in cima alla scheda elettorale. L’entusiasmo generato da Harris e i sondaggi leggermente favorevoli sembrerebbero promettenti per i democratici.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.