Ci risiamo: rifondazione del M5S contestata. Disfatta elettorale, scontro Grillo-Conte. Ormai il copione si ripete da anni a ogni flop dei grillini. Ora sul tavolo c’è l’ennesima rifondazione programmata ad ottobre dal presidente Conte e osteggiata dal garante del Movimento.
Il nuovo crollo nelle elezioni europee dello scorso giugno brucia: appena il 10% dei voti incassati (qualcuno con malizia indica il dato del 9,9%) rispetto al 17,1% del 2019 e al trionfale 32,78% nelle consultazioni politiche del 2018. In 6 anni persi oltre i due terzi dei voti.
Scatta l’eterno corpo a corpo. Da una parte c’è Beppe Grillo, comico corrosivo, fondatore del M5S a colpi di “vaffa…”. È il geniale comico sceso in campo contro il sistema dei partiti italiani, contro le élite nazionali ed europee, sostenitore dell’uscita dell’Italia dall’euro. Il sovranista che nel 2018 uccide la Seconda Repubblica e fa nascere la Terza sull’asse del bellicoso populismo grillo-leghista.
Dall’altra parte c’è l’allora sconosciuto Giuseppe Conte, avvocato e professore universitario, divenuto presidente del Consiglio nel 2018 senza essere iscritto né essere eletto in Parlamento dai cinquestelle. Diventa il premier del primo governo populista dell’Europa occidentale per “chiamata diretta”. Luigi Di Maio, allora beniamino di Grillo, non ce la fa ad andare a Palazzo Chigi perché stoppato dal leghista Salvini, l’alleato populista rampante. Salta il totem di mai alleanze con altri partiti e così “l’avvocato del popolo”, populista moderato diventa per la prima volta presidente del Consiglio con due vice: Di Maio e Salvini.
Ma questo è il passato. Beppe Grillo ora sferra rasoiate impietose verso Giuseppe Conte dopo la catastrofe delle elezioni europee: «…mi ha fatto un po’ tenerezza. Ha preso più voti Berlusconi da morto che lui da vivo». A Grillo non piace per niente il progetto di rilancio di Conte. Boccia in particolare le tre fondamentali innovazioni ipotizzate: l’abolizione del limite dei due mandati parlamentari, il cambio del nome e del simbolo. Il fondatore del M5S fa muro: «I nostri tre pilastri non sono modificabili». Rivendica il bastone del comando: «Deve capire che io sono essenziale».
Conte suona un’altra musica, di scontro frontale. Vuole la rifondazione del M5S. Mette sul tavolo il cambio del nome, del simbolo e l’abolizione del “tetto” dei due mandati parlamentari: «Decideranno i cittadini». Invoca la democrazia contro la linea imposta dal fondatore: «Il destino del Movimento non è nelle mani di Grillo, ma di una comunità che si esprimerà nell’assemblea costituente». Insomma, comanda lui da dopo le dimissioni di Di Maio. Fa capire: ha salvato il salvabile. Respinge la narrazione di lui “moderato” rispetto a Grillo “radicale” ancorato ai miti rivoluzionari delle origini. Molte cose, sostiene, sono già cambiate negli anni con l’avallo di Grillo. La svolta del Conte due, il governo con il Pd una volta dipinto come la sentina di tutti i mali, è una delle operazioni volute dal garante. Così pure l’ingresso del M5S nel governo di grande coalizione presieduto da Mario Draghi, il grande banchiere espressione delle élite, l’artefice del salvataggio dell’euro, un tempo nemico irriducibile. Conte ricorda la battuta del comico-garante su «Draghi grillino». Una sortita determinante per convincere il recalcitrante Movimento ad aderire all’esecutivo Draghi con un ruolo marginale.
Dal 2018 Grillo e Conte si sentono e vedono spesso. Si consultano nei passaggi più difficili dei cinquestelle, in particolare per cercare un successore a Di Maio nella guida del Movimento. Grillo spinge per una rifondazione del M5S diretta proprio da Conte. Ma qualcosa va storto. Nel giugno del 2021 uno scontro tracima perfino in un reciproco “vaffa…”. Il fondatore spara: «Conte non ha visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione». Conte rifiuta un M5S retto da un consolato: «No a una diarchia, la leadership deve essere chiara. E io non faccio il prestanome».
Da sei anni va avanti nel M5S il consolato Grillo-Conte ma è sempre più ammaccato. La perdita di valanghe di elettori, l’addio di moltissimi militanti e le tante scissioni (in testa quella di Di Maio) ridimensionano totalmente la forza grillina. Gli addii o la cacciata di molti esponenti lasciano profonde ferite. Oltre a Di Maio se ne vanno anche altri nomi di primo piano: Pizzarotti, Di Battista, Davide Casaleggio. La nuova rifondazione del M5S è alle porte ma corre la paura una nuova scissione tra Grillo, “populista bellicoso”, e Conte, “populista moderato”. Di Battista potrebbe tornare in pista.