I turisti invadono Bologna. Molto apprezzati sono anche i piatti e i cibi tipici: tortellini, tagliatelle, mortadella, porchetta. Ma le vie del centro storico intasate dai tavolini dei ristoranti e dei bar sollevano le proteste di molti bolognesi. Perfino il prestigioso New York Times pone il problema di “tavolino selvaggio”. Ce ne parla Maria Luisa Berti.
Il New York Times processa Bologna: «Inferno turistico, il cibo si è preso tutto». Un articolo del quotidiano statunitense riaccende la discussione: «Studenti e residenti sradicati dal centro, spariti i negozi tradizionali. Il segno del cambiamento è il consumo sconvolgente di mortadella». (Il Resto del Carlino, 9 agosto 2024).
Un titolo preoccupante quello del New York Times, ma purtroppo rispecchia una triste realtà. Le strade del Centro storico di Bologna sono invase da tavolini e sedie, fuori dai bar e dai ristoranti, dove ci si siede per mangiare. Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, dopo aver contestato l’articolo del giornale americano, ha capito che occorreva intervenire e il Consiglio Comunale intende rivedere le concessioni dell’uso esterno dei tavolini partendo da Via delle Moline, via Belvedere, San Gervasio e Piazza Santo Stefano.
Pare che esista solo il cibo nella città delle acque, dei portici, delle torri, della musica, della più antica Università d’Europa. Rimane solo il detto: Bologna, la grassa?
Pellegrino Artusi nell’incipit della ricetta dei tortellini alla bolognese scrive: «Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, che se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove». (La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene).
C’è tanta storia dietro l’arte culinaria felsinea: fatti storici, antiche tradizioni e leggende. La fama della cucina bolognese risale al Medioevo e al sorgere dell’Alma Mater Studiorum, la prima Università d’Europa, che attirò in città numerosi studenti e professori ai quali occorrevano cibi e alloggi. Fu necessario organizzare l’approvvigionamento degli alimenti dal contado ma anche da zone lontane, per vie d’acqua, allora le più veloci, tramite i canali che dalla città portavano al Po e al mare.
Nel Trecento esistevano 150 osterie e 50 alberghi che necessitavano di continui rifornimenti come anche le case del popolo e soprattutto dei signori, che si servivano di cuochi provetti per organizzare lauti e fastosi banchetti.
Una cena storica fu quella organizzata nel 1487 da Giovanni Bentivoglio in occasione delle nozze del figlio Annibale con Maria Lucrezia d’Este. Per accogliere la sposa che entrò da Porta Galliera, la città fu completamente trasformata: archi di trionfo, ornamenti floreali, rappresentazioni sceniche e anche abbattimento di case per creare una piazza davanti al grandioso palazzo dei Bentivoglio, ora Piazza Verdi.
Cherubino Ghirardacci, nella sua Historia di Bologna, ci racconta quanto avvenne in quella cena con tanti particolari. «Fu cominciato il convito a hore 20 e durò fino alle hore 3 di notte. …Furono in mensa prima presentati li pignocati indorati, cialdoni et malvasia dolce et garba et moscatelli in vasi d’argento. Poi piccioni arrosti, fegatelli, tordi, pernici, con olive confette et uva in 125 piatti d’argento…. Fu poi portato un castello di zuccaro con li merli e torri molto artificiosamente composto pieno di uccelli vivi; il quale come fu posto nel mezzo della sala, uscirono fuore volando tutti gl’uccelli con gran piacere et diletto de’ convitati. Venne poi nella sala un capriolo et uno struzzo, dietro all quali vennero li pasteletti coperti, teste di vitello con il collo in piatti d’argento dorati, capponi alessi, petti et lonze di vitelli, capretti, salsiccioni, piccioni, minestra et sapori, pure ne’ vasi d’argento dorati. Poi appresentarono pavoni vestiti con le loro penne a guisa che facessero la ruota, et a ciascuno de’ signori ne fu presentato uno, havendo uno scudo al collo con l’arme sua. Poi mortadelle, lepri, vestiti con la lor pelle, che stavano in piedi come vivi, con caprioli parimente con la lor pelle… vennero le tortore, fagiani, che dal becco loro ne uscivano fiamme di fuoco, accompagnati con pomi di Adamo et di naranze et sapori. Vennero poi le torte di zuccaro con amandole, giuncate insieme con biscotti; addussero poi teste di capretti, tortore, pernici arrosto et poi un castello pieno di conigli, il quale, posato nella sala, uscirono fuore correndo chi qua chi là con risa e piacere de’ convitati… Alla fine presentarono capi di latte et gelatine, pere, paste guaste, zuccherini, marzapani et altre simili gentilezze. Et data l’acqua odorifera alle mani in vasi d’oro et d’argento, furono presentate confettioni di varie sorti con preciosissimi vini…».
Era una vera e propria scenografia teatrale dove animali e persone erano gli attori.
Seguirono giochi e spettacoli a cui parteciparono il popolo e tremila forestieri.
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