La paura di avere nemici a destra. Ecco la chiave di lettura di alcune mosse, altrimenti incomprensibili, che recentemente hanno creato non pochi problemi a Giorgia Meloni. In Italia, ma anche in Europa, dove dopo aver votato contro la rielezione di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione Ue, ha dovuto subire l’ostracismo di Francia e Germania contrari a una vicepresidenza italiana.
Alla fine, Raffaele Fitto è passato e la premier ha gridato vittoria. Ma se poi si vanno a guardare le deleghe, si scopre che Fitto dovrà gestire i fondi Pnrr in coabitazione con un osso duro come Valdis Dombrovskis, al quale Ursula von der Leyen ha affidato il portafoglio degli Affari economici che fu di Gentiloni.
Intanto nelle stesse ore, la premier italiana incontrava a Roma il nuovo premier inglese, il laburista Keir Starmer, da cui incassava, a sorpresa, i “complimenti” per la politica sui migranti del suo governo di destra. Ma lei, invece di usare questo “regalo” per mettere in difficoltà l’opposizione dem e la sinistra di casa, si lanciava in un’aspra polemica contro la magistratura. Con bersaglio la Procura di Palermo che aveva appena chiesto la condanna di Salvini per un caso di sei anni fa, quello della Open Arms. L’accusa all’allora ministro dell’Interno è di aver negato un porto alla nave della ong spagnola bloccandola in mezzo al mare con il suo carico di migranti.
Ora, sarà pur vero che i toni usati dal Pm di Palermo per sostenere le sue accuse all’attuale vicepremier potevano assomigliare a un comizio. E appare senz’altro scivoloso il terreno scelto dal magistrato per separare la politica dal «comportamento di un politico» (con riferimento all’allora ministro dell’Interno). Ma un capo di governo non dovrebbe mai entrare nel merito di un processo in corso e, soprattutto, non dovrebbe delegittimare pubblicamente chi rappresenta un potere “indipendente” per dettato costituzionale. Anche la spiegazione del duro commento a caldo della premier («Incredibile la richiesta di 6 anni per Salvini, precedente gravissimo») va cercata nella sua paura di trovarsi scavalcata a destra. Il questo caso da Salvini e dalle manifestazioni di piazza che il leader leghista aveva minacciato.
Usando però due pesi e due misure, la propaganda del governo Meloni, non smette di invocare carcere e manette per immigrati irregolari per tutta una serie di azioni illegali. E così nel Ddl sicurezza in discussione alla Camera sono stati previsti 24 tra nuovi reati, aumenti e inasprimenti di pena. C’è la cosiddetta norma anti-Salis, che prevede il carcere per le occupazioni abusive di case. E poi: pene più severe per chi protesta bloccando una strada, maggiori poteri alle forze di polizia, stretta sulla cannabis legale e una serie di provvedimenti che puntano a sedare sul nascere le proteste in carcere e all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).
In un’intervista a un talk show televisivo amico, la premier ha messo in cima alle sue priorità “la sicurezza”. Non la salute dei cittadini, la scuola, la siccità, l’allarmante calo della produzione industriale, ma la sicurezza. Ignorando – tra l’altro – il sovraffollamento e la situazione drammatica delle carceri italiane, che rende di fatto impossibile un aumento delle detenzioni.
Comunque sia, anche tutta questa insistenza su carcere e aumenti di pena la si deve alla paura della premier di lasciare spazio alla sua destra. Insomma, di lasciare spazio al Vannacci di turno e a chiunque altro, sul versante dell’ultradestra, minacci di sottrarre consensi a Fratelli d’Italia. Senza considerare che inventare nuovi reati e far tintinnare le manette ha un altro, enorme, vantaggio: non costa niente.