Un “irregolare”. Nelle sfide più difficili della vita si affidava al «colpo di judoka». Cioè allo judo, all’arte marziale giapponese usata per battere avversari più forti. Paolo Franchi, acuto giornalista politico e scrittore, ne parla nel libro L’irregolare. Una vita di Gianni De Michelis, editore Marsilio. In 204 scorrevoli pagine ricostruisce vittorie e sconfitte del più estroso, progettuale, discusso esponente del nuovo corso del Psi di Bettino Craxi.
De Michelis, classe 1940, nato e morto a Venezia a 78 anni, è uomo complesso: attivissimo, grande studioso, nemico delle convenzioni sociali. Franchi scrive: «È dentro e fuori i palazzi, un irregolare, indifferente alle convenzioni vigenti, al perbenismo, alla doppia morale dei vizi privati e della pubblica virtù».
“L’irregolare” ricorre spesso al «colpo di judoka», l’espressione usata dall’ex ministro socialista nei passaggi fondamentali delle sue battaglie politiche e istituzionali. In particolare usa il «colpo di judoka» in quattro momenti cruciali della sua esistenza politica.
Petrolchimico di Porto Marghera. Prima studente, poi laureato, quindi assistente universitario in chimica è convinto che occorre conoscere e stare dentro il mondo della produzione industriale per cambiare la società. È un lombardiano, è un sostenitore delle “riforme di struttura” del suo maestro per cambiare la società capitalista.
Alla fine degli anni Settanta si getta in un’impresa impensabile: riaprire le sezioni socialiste del Veneto e gettarsi nella conquista degli operai del Petrolchimico di Porto Marghera, sulla terraferma di Venezia. Si presenta all’alba ai cancelli del Petrolchimico per parlare con i lavoratori assieme a un gruppo di ragazzi lombardiani. Parla dei loro problemi, della necessità di tutelare la salute, di rivedere i sistemi produttivi, di modernizzare. Prima è accolto in malo modo, poi con sufficienza, quindi con interesse. È una doppia lotta a sinistra: con gli operaisti di Toni Negri e con il Pci. Vuole affrontare e sconfiggere l’egemonia del Pci nel Petrolchimico. Riesce nell’impresa: all’inizio degli anni Ottanta i delegati di Cgil, Cisl, Uil al Petrolchimico sono in maggioranza socialisti.
Industria pubblica. Da ministro delle Partecipazioni statali, da sempre un feudo della Dc, vuole rivoluzionare tutto. Lavora come un matto a un’opera di modernizzazione delle imprese Iri, Eni, Efim per garantirle in futuro. Crede nel sistema delle grandi aziende pubbliche per dare una “cifra” allo sviluppo economico ma devono essere competitive e redditizie, non possono lavorare in perdita producendo anche panettoni. Va nelle assemblee di fabbrica per sostenere la necessità di ristrutturazioni nella siderurgia, nella chimica, nelle telecomunicazioni. Molte volte è contestato, prende fischi e alla fine applausi. Altre volte le contestazioni arrivano a minacciare la sua incolumità fisica.
Patto anti inflazione. All’inizio degli anni Ottanta l’inflazione in Italia galoppa attorno alla velocità travolgente del 20% annuo. Distrugge la competitività delle aziende e il potere di acquisto di salari e pensioni. Gianni De Michelis, ministro del Lavoro nel governo Craxi, vuole trovare una soluzione per bloccare la corsa dei prezzi. Crede nella proposta di Ezio Tarantelli, un brillante e giovane economista poi ucciso dalle Br, di predeterminare gli scatti della scala mobile. Craxi appoggia l’idea. Pierre Carniti (Cisl), Giorgio Benvenuto (Uil) sono a favore. Anche Luciano Lama (Cgil) sembra dire di sì, ma poi alla fine si tira indietro per il netto no di Enrico Berlinguer.
Il motto del segretario comunista è: senza il Pci non si governa. Alla fine il Patto anti inflazione è firmato solo da Carniti, Benvenuto, Ottaviano Del Turco (minoranza socialista della Cgil) e dalle aziende. Il governo accoglie l’accordo nel decreto di San Valentino. Berlinguer si oppone e chiede un referendum, la Dc di Ciriaco De Mita è cauta, la Confindustria pure. Lo stesso Bettino Craxi ha dei dubbi: teme una sconfitta. Invece vincono i no all’abrogazione del decreto nel referendum del 1985. È il segno che gli italiani scelgono il cambiamento.
La Ue. De Michelis è un europeista convinto. Dopo il crollo del comunismo con l’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989 comincia una nuova era storica. Da ministro degli Esteri è davanti al problema della riunificazione della Germania e della trasformazione della Cee (Comunità economica europea) in Ue (Unione europea). Il problema è triplo: garantire una pacifica riunificazione tedesca, impedire una Europa germanizzata, evitare l’emarginazione dell’Italia facendola entrare nel nuovo club. L’operazione nel 1992 riesce come premessa per dare vita all’euro e all’unificazione politica. Craxi, come osserva Franchi, non è del tutto convinto. Teme che il progetto se non realizzato bene possa trasformarsi in un purgatorio o addirittura nell’inferno per l’Italia.
Tangentopoli abbatte tutto: la Prima Repubblica, i partiti e in particolare il Psi
di Craxi. L’allora segretario del Psi è colpito da una valanga giudiziaria-mediatica per i finanziamenti illegali al partito. Anche De Michelis è bersagliato, anche per lui c’è la gogna giudiziaria-mediatica. Va sotto processo, è rincorso per le calli di Venezia da ragazzotti minacciosi, gli viene impedito di continuare a far il professore universitario di chimica.
È messo alla berlina per i capelli lunghi e per i suoi sfrenati balli in discoteca da ministro della Repubblica. S’impone sui giornali un feroce soprannome: “Avanzo di balera”. Ma reagisce, va avanti. Solidarizza con Craxi, fonda il Nuovo Psi alleato con il centro-destra di Berlusconi. Riconosce l’anomalia dei socialisti collocati nel centro-destra, ma lo fa col motto di «scomporre per ricomporre perché siamo in un bipolarismo bastardo». Poi confluisce nello Sdi (Socialisti democratici italiani) di Enrico Boselli collocato nel centro-sinistra. Ma non finisce bene né per il sistema politico italiano, né per i socialisti, né per lui. Muore per una grave malattia.
Al vostro cronista emerge un ricordo. Nei primi anni Ottanta, con sulle spalle uno scatolone di libri appena comprati nella libreria della Camera, incrocia “l’irregolare” in un corridoio di Montecitorio. L’allora ministro lancia una battuta: «La cultura pesa!». Era un complimento: lui era un amante e un divoratore di libri.