Leggendo le pagine del Fatto quotidiano di oggi e pensando alla Prima Repubblica, alla figura di Giulio Andreotti bersagliato da Forattini con vignette cattive di tutti i tipi, e mai una querela, o alla Seconda Repubblica alla figura di Silvio Berlusconi, messo nel mirino da una certa stampa, viene davvero una grandissima nostalgia.
Eh sì, perché, Andreotti partecipava alle serate del Bagaglino e rideva della propria caricatura e delle gag ideate da Oreste Lionello sotto la regia di Pingitore, consapevole che l’essere statisti e lo stare in prima linea per decenni comporta privilegi ma anche oneri, e Berlusconi lasciava davvero parlare tutti, ascoltava attentamente e poi decideva da solo con la propria testa e quando un giornalista – quasi tutti i giorni – scriveva cose che lo lasciavano perplesso o nelle quali non si riconosceva o che proprio non rispecchiavano la realtà dei fatti, alle 7 del mattino era solito chiamare al cellulare Galimberti dell’Ansa per rilasciare la sua smentita, o la sua precisazione o una nuova dichiarazione.
Imprenditore cresciuto all’ombra di Craxi e nel clima della Prima Repubblica, sapeva che la politica è fatta di pesi, contrappesi, compromessi ma soprattutto di una necessaria e mai coercibile libertà di informazione. Pensare ad Andreotti e a Berlusconi e paragonarli ai leader d’oggi è una impresa che lascia molto a desiderare, perché invece di andare verso una evoluzione del potere stiamo assistendo a una sempre più stringente normalizzazione.
Le voci fuori dal coro non sono più viste come un punto di vista con cui aprire tavoli di confronto o semplici riflessioni, ma come striduli grilli parlanti da lanciare contro il muro. Che questo avvenga non solo nei confronti dei giornalisti scomodi ma addirittura verso parlamentari che dovrebbero essere l’espressione più alta della libertà di parola e di azione del nostro Paese, baluardi di autonomia ideologica, propositiva e legislativa, cartine tornasole della agibilità democratica, la dice lunga su quanto la classe politica e dirigente di questo Paese sia involuta rispetto all’Olimpo nel quale sedevano Andreotti e Berlusconi.
Alla vigilia dell’anniversario della strage del 7 Ottobre e a pochi giorni dall’attacco in Libano, in un contesto di guerra che vede impegnati tutti i governi sul fronte Ucraina, leggere che un ministro della Difesa ha la bizzarra idea di proporre un esposto alla Procura della Repubblica e di chiedere di firmarlo ai colleghi parlamentari verso i 66 membri del gruppo di parlamentari di Fratelli d’Italia allo scopo di individuare la Gola Profonda che passa informazioni ai giornalisti è qualcosa di inedito che lascia del tutto di stucco. Innanzitutto perché c’è una commistione strana tra ruolo di governo e ruolo politico che mal si addice alla democrazia e poi se le conversazioni su WhatsApp sono private anche se riguardano più di 2 persone, beh, allora questo deve valere sempre, sia per le chat parlamentari sia per quelle che prevedono lo scambio di opinioni, di articoli di giornale o di rassegne stampa. Perché formalmente in una democrazia siamo tutti uguali di fronte alla legge.