Ha perso il tocco magico. Tavares è in picchiata dall’inizio del 2024. L’amministratore delegato di Stellantis, l’uomo magico che salvò dalla bancarotta il gruppo Peugeot-Citroen non esiste più. È solo un ricordo il miracolo dell’acquisto e del risanamento della Opel sottratta all’opzione di Marchionne. Tavares, 66 anni, ingegnere, appassionato d’auto, ex pilota di rally, va fuori pista.
Ora la galassia automobilistica Stellantis guidata dal manager portoghese sbanda paurosamente. Va fuori strada soprattutto in Italia: tutti gli impianti della Penisola sono in profonda crisi: meno 31,7% i veicoli prodotti nei primi 9 mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023, secondo un rapporto della Fim Cisl. Le previsioni per la fine dell’anno sono da incubo: appena 300.000 macchine e 200.000 furgoni prodotti. Nel 2023 si arrivò invece a 750.000 veicoli.
Lo scorso dicembre ha chiuso Grugliasco, tempio della Maserati. Rischia di chiudere perfino Mirafiori, un tempo la più grande fabbrica di auto d’Europa. La culla dell’ex Fiat e Torino hanno già scioperato ad aprile. Dalle linee di Mirafiori nel 2024 potrebbero uscire appena 30.000 auto contro le oltre 200.000 costruite nei primi anni 2000. Nel 2025 arriverà la 500 ibrida ma un solo nuovo modello non basterà ad evitare la catastrofe. È un disastro per l’occupazione. Gli operai sono disperati. Fioccano cassa integrazione, prepensionamenti, contratti di solidarietà, incentivi all’esodo. Impensabile: nel gennaio 2021, quando ci fu la fusione tra Peugeot-Citroen e Fiat Chrysler Automobiles Carlos Tavares prese l’impegno di «non chiudere nessuno stabilimento».
L’amministratore delegato di Stellantis va a zig e zag. Promette il rilancio e minaccia il ridimensionamento. A Montecitorio davanti alle commissioni industria della Camera e del Senato, assente John Elkann principale azionista del gruppo, si barcamena. Smentisce l’«intenzione di affrancarsi dall’Italia» perché «li amiamo gli impianti». Un amore strano. Rimette in discussione l’impegno, preso con il governo e con i sindacati, di costruire almeno un milione di auto nello Stivale perché «produrre le auto elettriche in Italia costa il 40% in più». Così chiede nuovi incentivi economici per gli autoveicoli a basso tasso di inquinamento.
Arriva un diluvio di no da parte del governo, delle opposizioni e perfino dalla Confindustria. Il più duro è Carlo Calenda, segretario di Azione, ex ministro dello Sviluppo economico. Attacca: «Siamo contrari a dare un singolo euro finché non c’è un piano industriale per iscritto e con chiarezza… Le cose dette da lei e da Elkann si sono dimostrate tutte false».
Tavares è in picchiata. Le vendite di Stellantis vanno male anche negli Stati Uniti, il mercato più redditizio per il gruppo italo-franco-americano. I grandi utili di una volta sono solo un ricordo, le quotazioni delle azioni in Borsa crollano a 11 euro dai 22 del 2023. Gli azionisti (la famiglia Agnelli-Elkann, quella Peugeot, il governo francese) sarebbero scontenti e il pilota di Stellantis potrebbe lasciare la guida prima del 2026, anno di scadenza del suo mandato.
Tavares è in picchiata. I sindacati dei metalmeccanici confermano lo sciopero di 8 ore del settore auto fissato il 18 ottobre contro Stellantis affiancato da una manifestazione prevista a Roma. Ferdinando Uliano non vede novità nelle parole di Tavares. Il segretario della Fim Cisl si rivolge all’azienda, al governo e alla Ue: serve «un rilancio industriale, in modo che la transizione ecologica e digitale in corso possa essere sostenibile socialmente, evitando deindustrializzazione e licenziamenti».
I sindacati chiedono investimenti, un piano industriale per l’auto con la costruzione di un milione di unità l’anno. Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm vogliono nuovi modelli mentre gli ultimi a marchio Fiat, Alfa Romeo e Lancia sono stati assegnati ad altre fabbriche in Europa e in nord Africa. Vogliono la tutela dell’occupazione. Tavares rischia tutto, anche il mega compenso di oltre 36 milioni di euro incassato nel 2023 tra remunerazione, premi e incentivi.