L’industria dell’auto arranca in Europa. In Italia va molto peggio: annaspa, è al collasso, è quasi morta. I pronostici sulla sorte dell’auto tricolore, pur con una modulazione diversa, sono tutti molto più negativi rispetto a quelli europei. Ma i sindacati e i lavoratori non ci stanno: credono e si battono per il rilancio.
Lo sciopero dei metalmeccanici di venerdì 18 ottobre è una agitazione esistenziale, una data da ricordare nella storia del sindacato italiano. È lo sciopero più difficile nella storia dei metalmeccanici italiani: sono in gioco i posti di lavoro e la stessa sorte dell’industria nazionale dell’automobile, un tempo gloriosa e ora gravemente ridimensionata. Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm suonano l’allarme rosso: «Stellantis in Italia e in generale l’automotive in Europa sono al collasso» e «sono irrimediabilmente a rischio» gli impianti e l’occupazione. Chiedono «risposte urgenti» contro la crisi all’Unione europea, al governo Meloni, a Stellantis, alle aziende della componentistica. Scendono in piazza in varie città della Penisola per protestare, chiedendo lavoro e sviluppo. Sono in 20.000 nella manifestazione nazionale a Roma nonostante il tempo incerto, il diluvio di cassa integrazione, le fermate produttive di Stellantis per mancanza di ordini d’acquisto.
Perché è in crisi l’industria dell’auto? Carlos Tavares punta il dito contro la spietata concorrenza delle auto elettriche cinesi con prezzi più bassi ma poi acquista la Leapmotor (una azienda dell’ex Celeste impero) e ne va a produrre i modelli in Polonia. Lamenta gli alti prezzi di vendita delle auto elettriche (non a caso sono meno del 4% del mercato nello Stivale) rispetto a quelle a combustione. Soprattutto l’amministratore delegato di Stellantis critica i costi di produzione italiani più alti del 40%. Nega l’intenzione di abbandonare gli impianti della Penisola e chiede altri incentivi pubblici per reggere la concorrenza.
Lo scontro è aperto da oltre un anno. Gli incontri per cercare una soluzione per l’industria dell’auto non sono serviti a nulla. Né il governo, né l’opposizione, né i sindacati hanno un attimo di esitazione a bocciare le nuove richieste di Tavares: gli incentivi pubblici ci sono già stati negli anni passati ma la produzione e l’occupazione è crollata invece di crescere secondo gli impegni.
I motivi del tonfo non sono un mistero. Gli investimenti e i nuovi modelli di auto o non ci sono stati o sono arrivati con il contagocce. Due esempi per tutti: 1) la costruzione della gigafactory di Termoli delle batterie per le auto elettriche è stata rinviata a data da destinarsi mentre una è stata realizzata in Francia; 2) Mirafiori, un tempo la più grande fabbrica di automobili d’Europa, il vanto dell’ex Fiat, rischia (come Grugliasco) perfino la chiusura (potrebbe concludere il 2024 con appena 30.000 macchine prodotte). In tanti pensano che il manager portoghese abbia un occhio di riguardo nel sostenere gli stabilimenti francesi del gruppo (il governo di Parigi ha una quota azionaria di Stellantis). Molti nuovi modelli Fiat, Alfa Romeo, Lancia sono allestiti in Polonia, Serbia, Spagna, Algeria, Marocco.
Da oltre un anno il governo e i sindacati chiedono a Tavares di produrre almeno 1 milione di autovetture l’anno, invece il 2024 rischia di chiudersi a quota 300.000. Un disastro. La capacità produttiva installata nel Belpaese è di 1.500.000 macchine. Maurizio Landini chiede al governo di convocare «le parti sociali, Stellantis, le aziende della componentistica a Palazzo Chigi». Il segretario della Cgil reclama «un piano strategico complessivo in Italia e in Europa».
Tavares è sotto botta, è criticato da tutti, è in picchiata. Anche negli Stati Uniti la produzione ha subito una brusca caduta. L’amministrazione e i sindacati americani sono in allarme. I profitti della multinazionale italo-franco-americana hanno subito un pesante colpo, le azioni in Borsa in Europa sono precipitate attorno a 12 euro dimezzando i precedenti record di quotazione. L’amministratore delegato ha un contratto in scadenza nei primi mesi del 2026 ma potrebbe lasciare prima. Lui stesso precisa: nel 2026 avrà 68 anni e questa «è un’età ragionevole per andare in pensione».