«Protesto», Matteotti al
calvario di padre e politico

«Io protesto». Lunedì 21 ottobre al Teatro Porta Portese va in scena una tragedia nazionale di cento anni fa: l’omicidio di Giacomo Matteotti. Il deputato socialista, segretario del Partito socialista unitario, non sente ragioni: intende protestare. Respinge ogni invito alla prudenza. Idee e azione, per lui, sono strettamente legate.

Giacomo Matteotti

Il 30 maggio del 1924 denuncia in un discorso alla Camera gli omicidi, le bastonate, le intimidazioni, i brogli con i quali i fascisti hanno vinto le elezioni politiche di aprile. Non si lascia impaurire dalle minacce alla sua vita piovute contro di lui dentro e fuori l’aula di Montecitorio. Il 10 giugno esce da casa a Roma per andare a Montecitorio e lanciare nuove accuse ma non arriverà mai a destinazione.

Cinque sicari fascisti lo assalgono, lo picchiano, lo caricano su un’auto. Il giorno stesso lo uccidono a coltellate. Benito Mussolini, furente, trema. La nascente dittatura fascista barcolla per la corale indignazione popolare. Ma le opposizioni antifasciste, in contrasto tra loro, si dividono, si frammentano scegliendo strategie diverse. Il fascismo, invece di cadere, risale la china, riprende fiato, si rafforza e diventa dittatura. Diventa un regime che cancellerà la libertà per vent’anni, causerà morti e guerre.

Sul palco del Teatro Porta Portese rievocano la tragedia di cento anni fa Andrea Lami (l’attore e regista interpreta Matteotti), Giulia Sanna (Velia Titta, la moglie del deputato socialista), Giuseppe Coppola (narratore, dà voce a Mussolini e ad altri protagonisti fascisti).

Teatro Porta Portese, Io Protesto, rappresentazione del delitto Matteotti al Teatro Porta Portese

Io Protesto, rappresentazione del delitto Matteotti al Teatro Porta Portese

L’interpretazione di Lami, Sanna e Coppola centra cuore e testa degli spettatori. Fa venire i brividi di emozione. La rappresentazione teatrale scruta sia l’aspetto personale, del marito e del padre, sia l’aspetto politico, il leader antifascista, dell’omicidio Matteotti. Velia supplica il marito di desistere: «È pericoloso…Pensa a tua madre, ai tuoi figli…Pensa a me». Lui replica: «Noi contestiamo». Aggiunge: se avesse taciuto i figli «che padre avrebbero avuto? Tu, che uomo avresti avuto accanto?». Tiene una requisitoria alla Camera tra le urla, le interruzioni, le minacce dei deputati fascisti: «Io protesto». Lancia coraggiose accuse senza tentennamenti: chiede l’annullamento delle elezioni politiche perché viziate dalle violenze, dai pestaggi, dagli omicidi, dai brogli delle camicie nere. Sa dei pericoli che corre. Dice ai deputati socialisti: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». Muore assassinato ad appena 39 anni.

Mussolini sulle prime nega ogni addebito. Fa dimettere molti esponenti fidati del governo e del Partito fascista. Cadono le teste di uomini come Emilio De Bono, quadrunviro del fascismo e capo della polizia. Il duce ha paura della reazione popolare all’atroce delitto. A Delia che lo va a trovare per avere la salma del marito, risponde: «Ma mia cara signora, io vorrei restituirle suo marito vivo! Forse c’è ancora un filo di speranza».

Il corpo di Matteotti è ritrovato nelle campagne attorno a Roma. È irriconoscibile. Viene identificato con grandissima fatica grazie all’intervento del suo dentista che riconosce un lavoro fatto alla sua dentatura.

Dibattito su Io Protesto, la rappresentazione del delitto Matteotti al Teatro Porta Portese

I colpevoli vengono arrestati, ma non i mandanti. Amerigo Dumini, il capo della squadraccia autrice del sequestro e dell’assassinio è un noto criminale. Il suo biglietto da visita è sanguinario, lo declama presentandosi: «Dumini, nove omicidi!». È arrestato mentre tenta di fuggire. Ammette solo il rapimento: «…non volevamo certo ucciderlo. Volevamo solo dargli una bella lezione». Ma il carcere dura poco, per lui e per gli altri quattro complici del delitto. Non fanno i nomi dei mandanti. Presto vengono rilasciati.

Passano sei mesi e il fascismo, a un passo dal crollo, invece si rinsalda. Mussolini il 3 gennaio parla alla Camera. Non cita espressamente il delitto Matteotti ma assume su di sé tutta la responsabilità morale e politica dell’omicidio del deputato socialista. Proclama: «Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere io sono stato il capo di questa associazione a delinquere». Le “leggi fascistissime” aboliscono ogni libertà politica, di associazione, di stampa. Partiti e sindacati sono sciolti, i giornali chiusi. È l’inaugurazione di una lugubre e violenta dittatura ventennale.

Benedetta Nicoletti, autrice dell’opera teatrale, rincuora gli animi. Ricorda la democrazia italiana rinata nel 1945 grazie anche al sacrificio del deputato veneto: «Matteotti non è morto, vive». Italo Arcuri, scrittore e giornalista, invita alla riflessione: Matteotti, socialista riformista, «è stato un uomo solo anche nella sinistra», attaccato dai socialisti massimalisti e dai comunisti. Antonio Gramsci lo considerava «un pellegrino del nulla».

«Io protesto», organizzato da Eranos al Teatro Porta Portese e sostenuto dalla Regione Lazio, aiuta a ricordare momenti tragici della storia d’Italia. E ricordare aiuta adesso a non ripetere gli errori e a non aver paura. Ancora oggi sono ancora molti i misteri da chiarire sul delitto Matteotti.