Per un affiliato alla Cosa Nostra l’“infame” è lo spione, il delatore, il confidente. Il vertice dell’offesa lo si raggiunge quando il destinatario è insieme “infame” e “sbirru”.
Per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni “infame”, da declinare anche al plurale, è il propalatore del contenuto di una chat/convocazione per eleggere, tra il lusco e il brusco, un giudice della Corte Costituzionale gradito. Ci può stare: chi ha reso noto il contenuto della convocazione via chat ha violato la consegna della segretezza. Come poi si potesse pretendere che un messaggio comunicato a oltre un centinaio di persone restasse segreto o riservato sconfina dal campo dell’infamità, ed entra in quello dell’ingenuità: che in politica è parente stretta dell’imbecillità.
Per Paolo Corsini, alto dirigente della Rai, è un gradino della Gnam, Galleria Nazionale di Arte Moderna. Scendeva la scalinata; una giornalista del programma “Piazza Pulita” di Corrado Formigli premeva; lui col ginocchio dolorante incespica, e pronuncia la sventurata invettiva. Diretta al gradino, non a Formigli o alla giornalista.
Infame, chiedo lumi a un amico napoletano, è da intendere non solo come spione; è, in lingua napoletana, qualunque cosa si frappone e ostacola. Nel caso di Corsini, appunto il gradino, colpevole di trovarsi sulla sua strada; per questo “infame”.
Se ne sarebbe dunque venuti a capo, se Corsini fosse napoletano; il fatto è che non è nato a Napoli, ma a Rimini; e nelle Romagne altro tipo di invettiva è in voga. Qualcosa, l’infamità, dunque non torna.