Alle amministrative dell’ultimo fine settimana di ottobre il Cile ha votato per eleggere 16 governatori, 345 sindaci, 302 consiglieri regionali e 2.256 comunali. Come previsto, il “Frente Amplio” di sinistra, il partito di governo guidato dal presidente Gabriel Boric è uscito indebolito dalle urne, mentre l’opposizione di destra ha fatto un altro balzo avanti e ha portato a casa 35 sindaci in più del 2021. Mario Desbordes, candidato di Chile Vamos (destra tradizionale) è il nuovo sindaco di Santiago. Succede a Iraci Hassler, prima comunista a guidare la capitale ed eletta nel 2021.
Secondo gli osservatori, il voto amministrativo è destinato ad avere un grande peso politico nazionale in vista delle presidenziali dell’anno prossimo, dove la candidata del centrodestra, l’ex sindaca di Providencia Evelyn Matthei, è favorita nei sondaggi e dovrebbe sostituire l’attuale presidente di sinistra, Gabriel Boric.
La svolta a destra nella politica cilena rappresenta un ritorno al passato tutto sommato prevedibile, visto il calo della fiducia popolare nella sinistra. Una sinistra radicale e per di più divisa, che non è riuscita a mantenere le tante promesse di riforme progressiste con cui aveva vinto le ultime presidenziali. E così la parola “dignidade”, che fu la chiave dell’esplosione sociale del 2019 e due anni dopo avrebbe portato alla vittoria di Boric, è scomparsa dai radar della politica. Adesso la parola d’ordine della maggioranza del Paese è “segurtade” (sicurezza) frutto della paura alimentata dall’esplodere della criminalità di strada. Una situazione fuori controllo che la politica non è riuscita a governare e che viene generalmente messa in relazione con il boom degli immigrati. Ossia con l’arrivo di decine di migliaia di disperati fuggiti dal Venezuela e da quei Paesi dell’America Latina che sono alle prese con gravi crisi economico-sociali.
E così, secondo un sondaggio fatto tre settimane prima delle amministrative, solo il 3% degli aventi diritto dichiarava di aver ancora fiducia nei partiti politici. Tristemente ultimi in una classifica di gradimento che vedeva al primo posto la polizia, con il 59% delle preferenze. Ma non è finita. L’indagine demoscopica rileva anche un forte aumento di cileni che rispondono con un “fa lo stesso” di fronte alla possibilità di essere governati da un regime democratico o da una dittatura. Cosa che può sembrare incredibile solo se si ripensa alla storia recente del Paese. Al regime instaurato in Cile dopo il colpo di stato contro Salvador Allende nel 1973, con la feroce dittatura che il generale Augusto Pinochet ha guidato fino al 1990.
Paradossalmente, per capire fino in fondo la perdita di fiducia nella democrazia e la svolta a destra di tanti elettori cileni, occorre partire proprio dal regime militare: il taglio dei salari e dei servizi sociali, lo strapotere del settore privato e il ruolo abnorme del libero mercato, le enormi disuguaglianze create tra ricchi e poveri. Il problema è che questo sistema, plasmato dalle riforme economiche e dalle decisioni prese durante il periodo della dittatura, dall’avvento della democrazia ad oggi non è cambiato.