Curioso che appena ventiquattr’ore dopo l’elezione di Donald Trump come (di nuovo) presidente degli Stati Uniti, tutti gli osservatori, gli analisti, gli inviati sappiano spiegarci le ragioni che hanno indotto milioni di americani a dargli fiducia nonostante quello che è, che ha fatto, che promette di fare.
Curioso che “oggi” sappiano spiegare tutto, mentre fino alla vigilia del voto era tutto un inno e un peana a Kamala Harris, la candidata democratica incoronata quale vittoriosa alla testa di milioni di donne che avrebbero disobbedito, nel segreto dell’urna, alle indicazioni dei loro mariti e compagni. Purtroppo non è andata così.
Curioso che ci abbiano assicurato che sarebbero occorsi giorni se non settimane per avere i risultati delle elezioni americane. Invece no: in poche ore i risultati…
Curioso che ancora una volta i colleghi inviati, i commentatori, gli analisti invece di raccontare l’America si sono raccontati l’America.
Nessuna pretesa oracolare. Chi scrive è semplicemente un europeo che ha la fortuna di poter vivere quattro o cinque mesi l’anno da anni in un sobborgo sonnolento a pochi chilometri da New York. Molte cose non me le spiego, non le capisco; del resto, anche loro, gli americani, non ci capiscono. Come Natty Bumpoo non tento più di capirli e non mi illudo che loro mi capiscano: sono un’etnia diversa. Cerco solo di registrare, “fotografo”.
Se chi ha seguito per riferirne ai suoi lettori e ascoltatori le elezioni americane invece di andare dove lo portava il cuore, fosse andato in un market… Non nel lussuoso e fascinoso Food on a budget di Grand Central Station di Manhattan; in un market periferico di qualche paesino della “cintura” di New York, o si fosse allungato nel Bronx o a Queens… se avesse provato a chiedere a quelle signore dal fisico un po’ sformato che comperano uova e patate quanto le pagano, quanto le hanno pagate un anno fa…
Sì, con Joe Biden e la sua erede Kamala Harris l’economia nel suo complesso va bene, l’occupazione sale… Però quelle uova e quelle patate costano sempre di più. Anche il biglietto dell’autobus e l’abbonamento sono aumentati. Forse questi costi “spiccioli” hanno avuto un peso non irrilevante nella scelta di chi mandare alla Casa Bianca. Più di Ucraina e Medio Oriente. Forse quelle migliaia di persone che ogni giorno da ogni sobborgo del New Jersey sbarcano al Port Authority per poi avviarsi al lavoro nella Big Apple, sì è vero: si trovano davanti alla maestosa sede del New York Times che invita a votare per Kamala Harris e mette in guardia dal pericolo Trump, dipinto come un presidente perfino peggiore di James Buchanan.
Però più che al raffinato e colto endorsment, loro pesa il costo delle uova mangiate a colazione, pensano a quanto costano le patate della cena. Ora arrivano telefonate stupite, allarmate, indignate. Possibile sia accaduto quello che è accaduto? Ma in fin dei conti è la vecchia lezione: la frase stampigliata su tazze e magliette, lo slogan coniato da James Carville, stratega politico di Bill Clinton: “It’s the economy stupid!”. Era il 1992, George H.W. Bush, dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS sembrava imbattibile. Vinse Clinton, grazie appunto all’economia: al denaro che l’elettore vedeva in concreto entrare e uscire dalle sue tasche.
Di sicuro andranno studiate, queste elezioni USA: Trump apparentemente ha fatto di tutto per perderle, e le ha invece vinte. Chissà: forse, per paradosso, da un Trump potrà venire perfino un bene: l’Europa, che è poco più di un’espressione geografica, forse si deciderà a diventare davvero Stati Uniti d’Europa, dando corpo a quel sogno che da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi poi si è dipanato in Adenauer, De Gasperi, Schuman. Forse il Partito Democratico americano tornerà da Marte dove attualmente si trova, e tornerà ad essere credibile alternativa all’oggi trionfante Partito Repubblicano di Trump, Vance e Musk…