L’incompiuta. Non si tratta di un’opera d’arte del geniale Michelangelo ma delle province, più esattamente della riforma delle province. «Libertà, va cercando» fa dire Dante a Virgilio diretto a Catone l’Uticense. Province l’Italia va cercando, potremmo dire noi oggi. «È una riforma lasciata a metà» dice il ricercatore Dario Caprio illustrando il rapporto sulle province pubblicato da Mondoperaio, il mensile teorico del Psi.
Singolare particolare. Il dossier viene presentato alla Camera dei deputati il 13 novembre grazie all’ospitalità offerta dalla destra (il deputato Marco Cerreto e il senatore Guido Castelli) perché i socialisti, rimasti a sinistra, non sono più rappresentati in Parlamento. Non hanno più la forza e la progettualità del glorioso Psi di un tempo ma qualche idea e iniziativa c’è ancora.
La proposta è di porre fine alla riforma incompiuta. Non si sa più con esattezza di cosa si debbano occupare.
C’è anche lo spunto di attualità: dieci anni fa, era il 2014, venne approvata la legge Delrio sulla riforma delle province. I cardini erano: abolizione delle province e assegnazione delle funzioni o alle città metropolitane capoluoghi di regione o ai comuni. Gli obiettivi dichiarati erano due: risparmiare sui costi e semplificare lavori e procedure. Non è andata così. Il referendum che ha bocciato la riforma costituzionale del governo Renzi, ha azzerato anche la legge Delrio del 2014.
Adesso c’è l’incompiuta: le province sono tornate in vita ma non sono più elette dai cittadini ma dai sindaci del territorio. Tra il trasferimento continuo di competenze tra regioni, comuni e province i lavori nel territorio o marciano a passo di lumaca oppure regna il caos. Scuola, strade e trasporto pubblico locale ne patiscono le conseguenze negative.
Cesare Pinelli sintetizza: «Siamo a dieci anni dalla riforma della legge Delrio. Non se ne parla mai ma qualcosa va fatto».
Il direttore di Mondoperaio indica un metodo e una soluzione: «Le province sono un tema politico trasversale sul quale intervenire». Pensa all’elezione diretta come un tempo ma propone «un aggiornamento della riforma e non una marcia indietro nel tempo». Ma se si rifanno le province «no alla proliferazione» degli ultimi tempi per accontentare le molteplici realtà locali.
E non vanno ripetuti gli errori compiuti. Ridurre i costi e semplificare? Caprio spiega: «Tutti e due gli obiettivi sono falliti. Mille altri enti sono subentrati sui compiti dismessi con altro personale». Non solo. È sparito il controllo democratico dei cittadini perché non possono più votare per le province. Alle volte è complicato capire perfino «chi è il responsabile per funzioni fondamentali come acqua e strade».