He’s back. È tornato. Donald Trump, regnerà per quattro anni alla Casa Bianca, e di conseguenza eserciterà una grande influenza nel resto del mondo. Facciamocene una ragione, piaccia o meno è così. Ora siamo costretti a riflettere seriamente sulle implicazioni di questo ritorno. Chissà che l’Unione Europea non cominci finalmente a individuare un’azione comune, da sempre evocata, senza mai davvero cercarla.
Quando Trump venne eletto la prima volta l’Europa in qualche modo reagì. C’era la cancelliera tedesca Angela Merkel che si erse come leader dell’Europa, del multilateralismo e del “mondo libero”. Purtroppo, di leader come la Merkel non ce ne sono. Tuttavia, un’azione comune da opporre a Trump va trovata.
Per quel che riguarda il commercio internazionale, per fronteggiare la minaccia dei dazi promessi si può cercare di negoziare (Trump è pur sempre un uomo d’affari), e in caso di fallimento giocare a nostra volta la carta delle ritorsioni. Ovviamente questo comporta che i paesi dell’Unione agiscano appunto in Unione. Trump farà di tutto per dividere e isolare. A suo favore gioca il fatto che l’Unione dipende dagli Stati Uniti sia sul fronte della difesa che su quello dell’energia. Inoltre, già dobbiamo fronteggiare una guerra commerciale con la Cina; due conflitti economici insieme sono difficili da sostenere. Germania, Francia, Italia e Paesi Bassi, più esposti di altri al commercio estero, più di altri possono subire la sirena della trattativa al ribasso.
C’è poi la cruciale questione della difesa. Si fa un gran parlare di difesa europea, in realtà si è fatto poco o nulla. Vero che molti membri dell’Unione, quelli nordorientali ora si sentono minacciati dalla Russia soprattutto se si cederà in Ucraina; Francia, Italia e Spagna, si dicono favorevoli a investimenti in questo senso. Per paradosso l’elezione di Trump potrebbe essere la spinta che convince in questo senso anche paesi finora poco propensi, come Germania e Paesi Bassi.
Insomma: da un male potrebbe venire qualche bene. Però occorre essere consapevoli della portata della sfida. I leader, le loro coalizioni e governi non sembrano esserlo. Finora non danno segnali in questo senso, tutt’altro.
Trump negli Stati Uniti ha fatto un generale strike: Corte Suprema, Senato, Camera dei rappresentanti. Il Partito Repubblicano non esiste più: c’è il suo movimento MAGA. Grazie a Elon Musk ha dalla sua lo spaventoso potere che garantisce big tech e l’enorme influente campo della (dis)informazione. Nei suoi propositi di guerra commerciale, disimpegno in Europa, abbandono dell’Ucraina al suo destino, nessuno all’interno degli Stati Uniti lo può seriamente contrastare.
Come resisteremo, noi europei a queste poderose offensive già annunciate e che tra qualche mese verranno attuate? Casi come quelli di Viktor Orbàn potrebbero aumentare. Una cosa è sicura: se Trump riuscirà a dividerci più di quanto già non si sia, il vincitore sarà Putin e il suo modello di società. È con questo scenario che le democrazie e chi nella democrazia crede, deve fare i conti, trovare antidoti e contravveleni, proposte e soluzioni concrete.
Il ritorno di Trump dovrebbe insegnare che la democrazia è un complesso e delicato meccanismo di pesi e contrappesi che può saltare anche praticando la democrazia stessa, visto che non c’è dubbio che Trump sia stato voluto ed eletto dalla maggioranza degli americani votanti. L’Europa per fronteggiare questo evento si dovrebbe dotare di leader coraggiosi e insieme prudenti, lungimiranti, visionari e insieme pragmaticamente concreti. La scommessa è questa. Questa la situazione, questi i fatti.