C’è poco da ridere e niente battutacce. La ministra svedese per l’Eguaglianza di genere, Paulina Brandberg, soffre di una forte fobia alle banane, da non sottovalutare in un paese in cui il frutto tropicale aiuta quanto una giornata agognata di sole.
Siamo a rischio incompatibilità. Non sembra si estenda al “banano”, verde coriaceo, buono cotto che risulterebbe estraneo alla competenza paritaria del dicastero. Non è un problema da poco vista la centralità che in Europa ha assunto con regolamenti ad hoc sui criteri per la circolazione e quindi il consumo. Dimensioni non inferiori a 14 cm e diametro oltre i 2,7, no a curvature anomale o a difetti di forma. Non è contemplata però l’intolleranza. Come la mettiamo con il prezioso potassio di cui è ricca? Gli inglesi all’epoca contestarono la norma e si opposero a qualsiasi sistema di classificazione che collegasse la qualità alla dimensione! Che sia stato quello l’inizio della Brexit? Certo la normativa cerca di intervenire per garantire trasparenza, correttezza e salubrità nella circolazione degli alimenti, ma il contesto rende tutto un po’ ameno. Lo stesso Prodi, allora al vertice Ue, abbozzò un «ci ridono dietro».
Ma la ministra non deve stare alla larga soltanto dei cesti di frutta di benvenuto in camera d’albergo, dei frappè, delle macedonie invitanti. Il suo vero e proprio handicap le inibisce addirittura il godimento delle arti figurative.
È proprio così, da quando al vertice delle esposizioni museali di prestigio e delle demenziali quotazioni milionarie, c’è una banana incerottata e appiccicata a una parete che Maurizio Cattelan, vero genio italico della presa per i fondelli, firma come sua opera. Se l’è aggiudicata ad un’asta di marziani il magnate cinese Justin Sun per la modica cifra di 6,2 milioni di dollari, un’inezia. Intendiamoci: già l’autore l’aveva definita una provocazione che invita a riflettere sul valore dell’arte e sulle dinamiche del mercato. Niente di nuovo sotto il sole dopo l’orinatoio, ormai centenario, di Duchamp, la merda d’artista presettantottina di Manzoni, le lattine di zuppe Campbell di Warhol.
Ma questa volta si tratta di materia viva, deteriorabile, non protetta, tanto è vero che l’expertise che l’accompagna contiene anche le istruzioni su come sostituire il prodotto quando è marcito e puzzolente. Un realismo estremo non a caso intitolato “comedian”: cioè, come diceva Gigi Proietti, «viva il teatro dove tutto è finto ma niente è falso». A Pechino “banane” vengono definiti i cinesi di origini straniere, misti o nati e cresciuti all’estero: gialli fuori e bianchi dentro come il nostro frutto esotico. Il plurimiliardario vuole forse aprirsi all’occidente? Altro che Via della seta! Noi, solidali con la ministra bionda (come una banana) rischiamo di scivolare nell’assurdo. La banana al posto della mela del peccato? Ma ‘n do vai se la banana non ce l’hai? I mitici Alberto Sordi e Monica Vitti in Polvere di stelle indimenticabile. Allora una banana per tutti? Marx, dove sei? (Carlo o Groucho?).