Quella che possiedo è una vecchia edizione “Urania” del 1966, comperata chissà perché: all’epoca il nome di James G. Ballard non mi diceva nulla. Per dire: “L’impero del sole”, e il relativo film, dovevano ancora venire.
“Terra bruciata” e la sua versione più estesa, “The Drought”, raccontano di un mondo dove la lotta, letterale, per la vita è riuscire ad accaparrarsi taniche d’acqua. A causa di una interminabile siccità, i fiumi si sono seccati, la terra è polvere, le popolazioni emigrano verso il mare; la siccità è causata da residui industriali scaricati senza criterio in mare che costituiscono una barriera impermeabile all’ossigeno di polimeri saturi a catena lunga; il risultato è che non c’è più evaporazione, viene meno il ciclo delle precipitazioni. Magari nella mente di Ballard è una più generale metafora del destino umano, condannato a evaporare “dentro”.
Dal 1966 al 2024, i nostri giorni. Arriva la certificata notizia che da circa un decennio il pianeta diventa più arido: la quantità di acqua dolce presente in fiumi, laghi e falde acquifere diminuisce in maniera esponenziale.
Cambiamento, probabilmente legato al cambiamento climatico: sintomo, si ragiona, di un possibile inizio di una nuova fase persistentemente più secca. Lo certificano i dati che vengono dai satelliti Grace e Grace-Follow On della Nasa e dell’Agenzia spaziale tedesca, pubblicati sulla rivista “Surveys in Geophysics”.
Figuriamoci: non ho né scienza né competenza per dare giudizi in un senso o in un altro. Mi limito a leggere e andare indietro negli anni, quando lessi quel romanzo di Ballard.
Per tornare ai satelliti Grace, operativi da marzo 2002 a ottobre 2017, e quelli della generazione successiva Grace-Follow On, lanciati a maggio 2018, essi hanno misurato su scala mensile le fluttuazioni della gravità terrestre che rivelano cambiamenti nella massa d’acqua del suolo e del sottosuolo. Le misurazioni fatte tra il 2015 e il 2023 mostrano che la quantità media di acqua dolce immagazzinata sulla terraferma (che include l’acqua liquida superficiale di laghi e fiumi, oltre all’acqua delle falde acquifere sotterranee) è stata di 1.200 chilometri cubici inferiore ai livelli medi registrati dal 2002 al 2014.
Il declino è iniziato con una grande siccità nel Brasile settentrionale e centrale, ed è stato poi seguito da una serie di importanti episodi di siccità tra Asia e Australia, in Nord e Sud America, Europa e Africa. Le temperature oceaniche più calde nel Pacifico tropicale dalla fine del 2014 al 2016, culminate in uno degli eventi El Niño più significativi dal 1950, hanno portato a cambiamenti nelle correnti a getto (jetstream) atmosferiche alterando il meteo e le precipitazioni in tutto il mondo.
Successivamente, anche dopo la fine di El Niño, l’acqua dolce globale non è aumentata. Tredici dei trenta episodi di siccità più intensi al mondo osservati dai satelliti Grace si sono verificati a partire da gennaio 2015. «Il riscaldamento globale porta l’atmosfera a trattenere più vapore acqueo, il che si traduce in precipitazioni più estreme», sostiene il meteorologo della Nasa Michael Bosilovich. «Il problema quando si verificano precipitazioni estreme è che l’acqua finisce per defluire invece di essere assorbita e riempire le riserve di acqua sotterranea. Le temperature elevate aumentano sia l’evaporazione dell’acqua dalla superficie all’atmosfera, sia la capacità di ritenzione idrica dell’atmosfera, aumentando la frequenza e l’intensità delle condizioni di siccità».
Pedestre qual sono osservo la cartina del mondo. A parte il Mississippi-Missouri, già fin da ora, attorno a tutti i grandi corsi d’acqua del mondo ci sono tensioni se non proprio guerre. Non dico l’attuale, e forse neppure la prossima, ma può essere che il problema della terza generazione a venire sia quello dell’acqua. In una “terra bruciata” come quella immaginata e raccontata da Ballard.