Stamane mi è capitato per mera casualità di imbattermi in un dipinto (di autore a me non noto) raffigurante il “Pifferaio di Hamelin”, meglio conosciuto come il “Pifferaio Magico”.
Si trattava di un incantatore che, su mandato del Borgomastro della città, la liberò dai topi, per poi, non essendo stato pagato dal suo committente, vendicarsi crudelmente incantando i bambini con il suono del piffero e portandoli via per sempre. Il pifferaio, con buona pace dei musicisti che suonano questo antico strumento, nel significato comune e popolare (ma anche allegorico) è sinonimo di incantatore, di seduttore.
Posso dunque capire i ratti che vennero ammaliati dal suono imbroglione e trovarono la morte nelle gelide acque del fiume, però, mi chiedo, come mai al giorno d’oggi, pur con tutti i mezzi di conoscenza e di verifica che possediamo e che ci consentono di sapere “vita, morte e miracoli” di chiunque e di vivisezionarne analiticamente il comportamento e i veri propositi, ci sono tanti “adulti” che abbandonano la testa e il cuore al suono del piffero e seguono silenziosi e obbedienti il maliardo?
È un vizio italico o è un morbo universale del tempo che viviamo? Quale che sia la risposta poco importa, basta fare come Ulisse davanti alle sirene: tapparsi le orecchie con la cera e passare avanti, lasciando l’incantatore a rimanere, solitario, sullo scoglio.