Il marchio di “cespugli” pesa ancora nel linguaggio politico italiano. Giuseppe Conte “licenzia” Beppe Grillo suonando l’allarme: «Non saremo mai il cespuglio» di un partito più grande, cioè il Pd. Il presidente del M5S e il fondatore pentastellato, messo alla porta, tra le tante accuse lanciatesi a vicenda spendono anche quella di subalternità a Elly Schlein. Ma la segretaria democratica è martellante nel chiedere l’unità di tutte le forze di sinistra e di centro per battere la destra di Giorgia Meloni.
Conte oscilla, pressato da una minoranza interna ostile e dalla pressione esterna di Grillo. Respinge il progetto di «una alleanza strategica» con il Pd e con il centro-sinistra. Propone solo delle intese volta per volta escludendo però alcune forze centriste, come Italia Viva di Matteo Renzi. È un comportamento strano per due motivi. Primo motivo: i grillini in passato hanno fatto una alleanza a due con la Lega sempre più a destra di Salvini (governo Conte uno), hanno concluso un accordo con tutto il centro-sinistra (Conte due), hanno accettato un esecutivo di grande coalizione (esecutivo Draghi). Secondo motivo: le elezioni si vincono su programmi e intese larghe comprendenti tutto il frammentato mondo del centro-sinistra. Del resto Giorgia Meloni, e prima di lei Silvio Berlusconi, ha sbancato e sbanca nelle elezioni politiche aggregando tutti i possibili alleati del centro-destra, anche i più estremisti.
Il centro-sinistra nella Seconda Repubblica ci riesce in due occasioni. Ci riesce due volte Romano Prodi. Prima vince le elezioni legislative del 1996 con l’Ulivo e poi nel 2006 con l’Unione. Con grande fatica riunisce su un programma progressista il frastagliatissimo mondo delle forze della sinistra riformista, di quella radicale, ambientalista e centrista. L’incanto si rompe quando Walter Veltroni bolla nel gennaio 2008 la fine dei partiti minori, i “cespugli”. Ad una riunione sibila: «Mancavo da sei anni dai vertici, ma vedo che il numero dei partiti è notevolmente cresciuto». E ancora; «Siamo l’unico Paese con 12 partiti al governo e 24 in Parlamento».
La tensione sale a mille tra i “cespugli” minacciati di morte mentre Romano Prodi cerca di trovare una soluzione per salvare il suo secondo governo. Ma non ce la fa. La frase fatale Veltroni la pronuncia, come scrive Carlo Correr nel libro “Una lunga marcia”, a mezzogiorno del 19 gennaio 2008 al convegno organizzato a Orvieto da “Libertàeguale”. Il fondatore del Pd, scrive l’ex giornalista dell’Avanti!, affronta il delicatissimo tema della riforma elettorale con l’accetta: «Con qualsiasi sistema elettorale il Pd correrà da solo». Scoppia il finimondo, è l’annuncio della fine dell’Unione. In particolare Mastella (Udeur), Boselli (Sdi), Bonelli (Verdi), Sgobio (Pdci) protestano e chiedono un cambiamento di rotta ma senza alcun risultato.
Veltroni e Berlusconi vogliono una nuova legge elettorale maggioritaria favorevole per le forze maggiori; i piccoli partiti, i “cespugli”, si oppongono perché segnerebbe la loro morte elettorale e politica. Il 24 gennaio 2008 cade il secondo governo Prodi: non ottiene la fiducia al Senato per pochi voti. Passa la linea “dell’autosufficienza” del Pd predicata da Veltroni. L’allora segretario democratico però non va da solo: si allea unicamente con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. Il Pdl di Berlusconi pochi mesi dopo vince le consultazioni politiche del 2008 e il Cavaliere torna a Palazzo Chigi. I “cespugli” vengono cancellati alla Camera e al Senato. Veltroni perde le elezioni politiche, la segretaria del Pd e la carica di sindaco di Roma.
Da allora comincia una crisi politica senza fine. Il centro-sinistra non riuscirà più a vincere una elezione politica, gli elettori progressisti delusi si rifugeranno nell’astensione che ormai raggiunge il 50% dei votanti. I “cespugli”, pur tra tanti difetti, garantivano una rappresentanza politica ampia all’Italia reale. L’instabilità politica in Italia è sempre forte nonostante il sistema elettorale maggioritario. Un meccanismo di ingegneria istituzionale non basta per garantire governabilità: perfino la Francia è in crisi, nonostante il semipresidenzialismo e il sistema elettorale maggioritario a doppio turno.