La Rai si è subito adeguata al ribaltone politico del 4 marzo, stendendo il tappeto rosso per garantire la passerella ai nuovi padroni della politica italiana, ma il resto dell’informazione non ha fatto meglio.
Noiosi, verbosi, prevedibili, i giornali – che a differenza della Rai non possono contare sul canone – continuano a perdere copie e le edicole a chiudere i battenti. Certo, la crisi dell’informazione cartacea non è solo italiana, ma negli altri paesi dell’Occidente la discesa è meno veloce. La causa principale è l’informazione online che è rapida e – soprattutto – gratuita. Ma i siti Internet sono zeppi di notizie false “fake news” e – comunque – di informazioni non verificate.
Il dibattito sulla bassa qualità dei giornali gratuiti e sui pericoli per la democrazia derivanti dall’online è di grande attualità in tutto il mondo. Il 25 novembre, il quotidiano Repubblica ha organizzato una manifestazione al teatro Brancaccio per difendere la carta stampata e la “libertà d’informazione”.
Due settimane prima, il 13 novembre, i giornalisti italiani – insieme alla cosiddetta “società civile” – erano scesi in piazza in varie città italiane per il “flash mob”: “Giù le mani dall’informazione”. Rispondendo così all’appello della Fnsi e dell’ordine dei giornalisti a sostegno della libertà di stampa e contro gli attacchi ai giornalisti. Reazioni sacrosante che, però, rischiano di diventare rituali e finiscono spesso per assomigliare a certe manifestazioni dell’Anpi. Almeno fino a quando noi giornalisti professionisti non affronteremo seriamente il problema della qualità dell’informazione dei nostri giornali.
Già, perché noiosi, verbosi, timidi e prevedibili come oggi sono in gran parte stanno diventando sempre più inutili e irrilevanti. Per dirla tutta, le “fake news” non sono prerogativa esclusiva di Internet, ma appaiono senza problemi su quotidiani e periodici di carta. Che cosa sono, se no, le decine e decine di dichiarazioni propagandistiche postate sui social dai leader politici e rilanciate in prima pagina dai quotidiani come se fossero notizie?
E vogliamo parlare di Salvini che viene servito dai giornali in tutte le salse? Come leader della Lega, come vicepremier, come ministro dell’Interno e persino come “tecnico” aggiunto del Milan, visto che si è messo a dare consigli all’allenatore Gattuso sui cambi dei giocatori durante una partita ed è stato intervistato sul delicato argomento.
Oppure vogliamo parlare di Di Maio, adesso coinvolto nello scandalo familiare? Con suo padre che faceva lavorare in nero alcuni dipendenti e adesso dice che Luigi era sì socio dell’azienda ma non era operativo e non ne sapeva nulla. Insomma, Luigi Di Maio sarebbe stato azionista di un’azienda a sua insaputa. Qualche giornale ha approfondito la vicenda? Qualche cronista è stato messo a scavare? No. I quotidiani si sono limitati a pubblicare e commentare le dichiarazioni del padre del “leader politico” di Cinquestelle.
E allora? Non c’è da meravigliarsi se le vendite di giornali vanno in picchiata. Gli ultimi dati sono spaventosi. Con il Corriere della Sera poco sopra le 200 mila copie vendute in edicola, e poi: Repubblica 156 mila, Stampa 112 mila, Messaggero 80 mila, Giornale 53 mila, Giorno 45 mila. Il Fatto del simpatizzante pentastellato Marco Travaglio è poco sopra le 30 mila copie e il Manifesto, storico quotidiano “comunista”, è precipitato sotto le diecimila.