Sono passati 80 anni dalle leggi razziali volute da Benito Mussolini. Non uccidere, DON’T KILL. In genere gli uomini tendono a rimuovere gli orrori
perché causano sgomento ed esigono una risposta coraggiosa. Uno dei grandi orrori della storia sono state le leggi razziali contro gli ebrei decise dal fascismo nel 1938. Improvvisamente i cittadini italiani di religione ebraica persero i più elementari diritti: al lavoro (soprattutto i dipendenti pubblici furono licenziati), all’istruzione (studenti e professori furono cacciati dalle scuole), alla proprietà di industrie, perfino alla possibilità di sposare “un ariano”.
Un antidoto alla barbarie è non dimenticare le atrocità per non ricadere nelle follie di politiche criminali del passato, come quelle di perseguitare altri esseri umani per motivi religiosi, etnici, politici. Don’t kill 1938 ricorda alla Casa della memoria e della storia di Roma (via San Francesco di Sales n.5) quella tragedia nella quale piombarono 80 anni fa 40 mila ebrei italiani.
È in mostra fino al primo febbraio 2019 -precisa un comunicato stampa- l’opera di Fabrizio Dusi, a cura di Chiara Gatti, ideata appositamente per lo spazio della Casa della memoria di Roma, ma anche proseguimento di un’altra installazione, realizzata per la Casa della memoria di Milano più di un anno fa, ora in esposizione permanente. L’iniziativa promossa da Roma Capitale è a ingresso libero.
In entrambi i casi la scritta DON’T KILL, sottolinea un comunicato stampa, è posta sulle vetrate degli edifici, visibile all’esterno in un dialogo costante con il quartiere: un filo rosso per unire idealmente questi due spazi, entrambi dedicati alla memoria e alla storia del Novecento, e le due città.
Per Roma l’artista, Fabrizio Dusi, ha sviluppato il tema delle leggi razziali emesse dal governo Mussolini nel 1938, evocandolo già a partire da un grande arazzo che riproduce la prima pagina di un giornale dell’epoca.
«Il nostro passato deve essere da monito per il nostro presente e non ci deve mai lasciare indifferenti», afferma l’artista, operando per tenere in vita la memoria di esistenze cancellate, concentrandosi su poche e lapidarie parole che evocano però un grande affresco della condizione umana.
Grazie al suo titolo cubitale, l’arazzo ci ricorda cosa è successo 80 anni fa in Italia e, nel contempo, sottolinea la divisione tra il prima e il dopo. L’opera prosegue infatti con una serie di scritte in ceramica e neon che passano da positive e colorate, simboli di una vita quotidiana normale, a negative e tutte di colore giallo, simboli invece della discriminazione contro la popolazione di religione ebraica e del suo tragico epilogo avvenuto con la Shoah.