Bengasi contro Tripoli. Sulla Libia ha fallito sia Macron sia Conte. La conferenza di Parigi (maggio 2018) non ha prodotto né le elezioni né la pace, la conferenza di Palermo (novembre 2018) non ha portato né l’Assemblea nazionale libica per riunificare il paese né la fine degli scontri tra Bengasi e Tripoli.
Anzi, dalle scaramucce si è passati all’aperta guerra civile tra Khalifa Haftar e Fayez al-Sarraj. L’uomo forte della Cirenaica dal 4 aprile, dopo aver conquistato gran parte della Libia, ha attaccato Tripoli. E ora minaccia anche Sirte. Il generale Haftar parla di lotta al “terrorismo”, Sarraj contesta una “aggressione” alla popolazione civile della capitale.
Il terribile bilancio dell’attacco dell’Esercito nazionale libico è di circa 400 morti, 2 mila feriti e oltre 60 mila sfollati. Sarraj, premier del governo di accordo nazionale, è riuscito, però, a fermare l’attacco di Haftar e Tripoli non è caduta nelle mani dell’uomo forte della Cirenaica.
I rapporti di forza internazionali pendono tutti a favore di Haftar. Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Russia e Francia da tempo sostengono l’ex generale di Muammar Gheddafi. Con Sarraj sono rimasti solo l’Italia, la Turchia, il Qatar e l’Onu, che riconosce Tripoli come l’unico governo legittimo della Libia. Anche gli Stati Uniti si sono sfilati. Donald Trump il 15 aprile, a sorpresa, si è schierato con Haftar abbandonando Sarraj e archiviando «la cabina di regia» affidata all’Italia sulla Libia. Il presidente americano ha capovolto la posizione di Washington con una telefonata al capo dell’Esercito nazionale libico: si è congratulato per le sue operazioni anti-terrorismo, ha indicato «una visione condivisa sulla transizione della Libia verso un sistema politico stabile e democratico».
Il premier libico dato per spacciato, però, non è stato travolto. Sul piano militare le sue milizie hanno contrattaccato impedendo la caduta di Tripoli, sul piano politico si è speso a maggio in un tour in Europa chiedendo a Italia, Francia, Germania e Regno Unito un pieno sostegno. Ha chiesto la fine dell’aggressione e altri interlocutori della Cirenaica per trattare sulla pace perché «Haftar non può più farlo». Ha ottenuto il sostegno europeo (compreso quello di Parigi) per un immediato cessate il fuoco, ma niente richiesta ad Haftar di ritirare le truppe.
Il rebus si complica per Giuseppe Conte. Per l’Italia è fondamentale la stabilità della Libia, è letale la divisione in due tra Cirenaica e Tripolitania. Il paese nord africano è a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste: da lì vengono i migranti, una parte del petrolio e pericolose minacce del terrorismo islamico (sono stati necessari sanguinosi combattimenti per sconfiggere l’Isis che aveva conquistato Sirte e Derna). Il presidente del Consiglio deve anche fronteggiare l’ostilità degli uomini del generale libico. L’accusa è di essere «dalla parte sbagliata», quella di Sarraj.
Conte ha cercato un riposizionamento terzista: «L’Italia non è né a favore di Sarraj né di Haftar, ma a favore del popolo libico». Quindi ha chiesto un immediato cessate il fuoco, la fine dell’opzione militare perché l’unica soluzione per la pace è una mediazione e una ampia intesa politica tra tutti gli attori in campo. Per un successo, però, è necessario il sì delle potenze schierate al fianco di Haftar, un evento ora inattuale. Ma se la spallata militare contro Tripoli dovesse fallire del tutto, allora la soluzione politica rientrerebbe in gioco. Sarebbe la mediazione salvavita, indispensabile per la Libia e per l’Italia.