Fermate la giostra, vi prego. Non ho mai considerato Renzi ed il suo giglio (smettiamolo di chiamarlo magico, visti i risultati) come qualcosa di diverso da una pausa della ragione collettiva, ma quello che sta succedendo in questi giorni forse è ancora peggio. Lotti di qui, Lotti di là, ma dov’è il problema? Il gioco del potere prevede che chi ritiene di essere legittimato dal voto popolare faccia di tutto per “gestire” le decisioni di chi può permettersi di sottrarsi al giudizio dell’elettore.
E fin tanto che questo accade senza infrangere quel numero enorme di leggi che il nostro Paese esibisce come record assoluto nel mondo Occidentale, dov’è il problema? Il mio rapporto con il mondo della giustizia inizia 60 anni fa a Torino.
Mio padre era segretario regionale della CISL, sindacato che aveva contribuito a fondare, e al culmine di una stagione di lotte relativo ad un rinnovo contrattuale (sì, sto parlando del paleolitico) fu chiamato in giudizio insieme al collega della CGIL per una manifestazione sulla cui autorizzazione c‘era qualche dubbio. Alla fine del dibattimento il giudice gli disse sottovoce, guardi io so che lei ha fatto le cose in regola, ma se assolvo lei debbo assolvere anche il segretario della Cgil, e questo non me lo posso permettere.
Questa era l’aria che si respirava negli anni Cinquanta e Sessanta. Un’aria che suggerì al sindacato dei giornalisti numerose forme di lotta contro una magistratura che tentava sempre di mettere il bavaglio, e contro l’acquiescenza dei vertici dei giornali. E dopo un grande convegno svoltosi a Torino (“Penne pulite” era il titolo un po’ banale ma eravamo agli albori della “fantasia al potere”) scattò la svolta che porta dritto dritto alla situazione di oggi.
In una riunione politica tra i rappresentanti dei partiti della sinistra, alla quale fu invitato anche un esponente della sinistra democristiana di Forze Nuove (che faceva capo a Donat Cattin), fu deciso che non esistevano margini per dialogare con una magistratura che in larga misura aveva vissuto l’esperienza del Fascismo e che l’unica via praticabile fosse quella di formare nelle scuole politiche giovani da inserire mano a mano che si svolgevano i concorsi.
Decisione condivisa, poi l’unico partito a metterla in pratica fu il Partito Comunista. E così oggi siamo di fronte al vero problema che non riguarda la politica per quanto inadeguata, ignorante, becera, allergica al sacro intelletto delle élite, ma attiene invece ad una magistratura che ha smarrito il senso della terzietà e lo ha fatto, forse, perché è stata formata per un altro obbiettivo, per essere parte attiva di un progetto che nel tempo è cambiato ma che ha mantenuto i riti e gli intrighi di un tempo. Tutto qui.
E per favore fermate la giostra prima che sia troppo tardi, perché se possiamo sopportare, certo con un po’ di fastidio, che la lotta contro i vertici dei giornali negli anni Sessanta abbia prodotto il risultato che negli ultimi trenta un nucleo robusto di colleghi, duri e puri, si sia trasformato nella cassetta delle lettere di alcune Procure, difficilmente il sistema reggerebbe allo sfascio della Giustizia.