L’incubo Senato questa volta è superato. Il decreto sicurezza bis, caro alla Lega e osteggiato dal M5S, è passato lunedì 5 agosto con il voto di fiducia: 160 sì contro appena 57 no e 21 astenuti. Cinque senatori grillini dissidenti non hanno partecipato al voto, assenti anche due leghisti. La senatrice grillina Virginia La Mura ha votato contro sostenendo: «Non voto un decreto che va contro qualsiasi principio umanitario».
La strada è stata in discesa per il governo Conte-Salvini-Di Maio: Forza Italia non ha partecipato alla votazione e Fratelli d’Italia si è astenuta. In sostanza solo il Pd ha votato contro. Ora l’incubo ha cambiato data: mercoledì 7 agosto i senatori del M5S potrebbero votare per una mozione parlamentare anti Tav, contrapposta a quella pro Tav della Lega. Se così fosse i cinquestelle farebbero opposizione al loro esecutivo perché il presidente del Consiglio Conte ha già dato il disco verde all’alta velocità ferroviaria Torino-Lione.
Adesso Di Maio dovrà fare i conti con questa nuova sconfitta inflitta dall’alleato di governo Salvini. Alla Camera il presidente Fico e 17 deputati cinquestelle non avevano partecipato al voto sul decreto sicurezza bis perché fortemente contrari alle misure volute dal segretario della Lega. Il dissenso tra i grillini sta crescendo per la subalternità al Carroccio ed ha aperto una falla a Palazzo Madama. Il M5S ha già perso i senatori Gregorio De Falco e Paola Nugnes, espulsi nei mesi scorsi. Così la maggioranza al Senato è divenuta risicata per il “governo del cambiamento”.
L’incubo Senato l’hanno patito quasi tutti i governi della Seconda Repubblica: partivano nel voto di fiducia con una maggioranza di poche unità che poi si dileguava più o meno rapidamente. Silvio Berlusconi e Romano Prodi, in particolare, hanno dovuto fare i conti con una “maggioranza bucata”. Hanno avuto problemi a raggiungere perfino quota 161, la maggioranza assoluta, quella della sicurezza. Ma mentre il fondatore di Forza Italia e del Pdl è riuscito a schivare più volte il pericolo a Palazzo Madama, l’inventore dell’Ulivo e dell’Unione non ce l’ha fatta. Il patatrac è famoso: il 27 gennaio 2008 cadde al Senato il secondo governo Prodi; nel voto di fiducia ottenne solo 156 sì, contro 161 no e 1 astenuto. Gli votarono contro i mastelliani e i diniani causando la crisi e le elezioni anticipate. Ma già l’anno precedente i senatori della sinistra antagonista, Fernando Rossi e Franco Turigliatto, avevano provocato una crisi di governo al Senato, poi “ricucita”, votando contro una mozione di politica estera.
Dopo undici anni la storia si ripete con altri protagonisti e nuovi equilibri politici. Il “governo del cambiamento” è appeso a un filo e sul decreto sicurezza bis solo l'”aiutino” di Forza Italia e di Fratelli d’Italia gli ha permesso di superare un pericoloso guado. Gli scontri tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono esplosi dopo le elezioni europee di maggio (il primo ha raddoppiato i voti al 34% e il secondo li ha dimezzati al 17%). Il segretario della Lega, trionfante, cerca di imporre le sue battaglie: blocco degli sbarchi dei migranti, costruzione della Tav, Flat tax. Di Maio, sulla difensiva, cerca di lanciare la controffensiva con il salario minimo.
Molti leghisti spingono Salvini a rompere l’alleanza con i grillini e correre rapidamente verso le elezioni politiche anticipate per avere la maggioranza nel futuro Parlamento (molti sondaggi danno al Carroccio quasi il 40% dei voti mentre il M5S è sempre in discesa). Il segretario della Lega e ministro dell’Interno più volte ha minacciato la crisi di governo: «O i 5 Stelle ci danno una mano a migliorare il Paese, oppure il paese lo miglioriamo da soli». Il capo politico pentastellato cerca di evitare la crisi. In una intervista al Corriere della Sera ha indicato la strada per proseguire insieme: «Io sono stanco di litigare…Con Conte e Salvini abbiamo lavorato bene, andiamo avanti così».
Di Maio oscilla tra toni dialoganti e intransigenti. Cerca di conciliare la nuova anima governativa del Movimento con quella antica di opposizione antagonista. È un’impresa difficile. Ma quasi tutti i grillini temono le elezioni politiche anticipate, temono di perdere il seggio e di consegnare una colossale vittoria a Salvini.