Vista dal Portogallo, la situazione politica italiana è incomprensibile. Mentre da noi Matteo Salvini si avvia a fare il pieno dei voti alle prossime elezioni, nel piccolo Paese atlantico, ultimo lembo dell’Ue, i partiti populisti non esistono.
Mentre da noi il Pd non riesce a beneficiare del crollo di Cinquestelle perché è spaccato come una mela, in Portogallo la sinistra riformista, guidata dal premier socialista Antonio Costa si prepara a vincere a man bassa le prossime elezioni politiche di ottobre.
Secondo i sondaggi potrebbe sfiorare il 40 per cento. E questo nonostante alcuni problemi che da noi avrebbero mandato in tilt l’attuale classe politica. Il problema è che – proprio in vista delle elezioni di ottobre – il governo di Lisbona che continua a tenere sotto stretto controllo i conti pubblici deve fare i conti con un’ondata di scioperi e di rivendicazioni sindacali. Professori, infermieri e adesso i trasportatori di combustibili con un blocco dei rifornimenti che rischia di paralizzare il Paese. Ma il governo si era preparato già da qualche mese a fronteggiare la situazione. Da un lato accumulando grandi scorte di carburante in modo da rifornire i distributori e le pompe di benzina, dall’altro attaccando duramente i trasportatori ma senza smettere di trattare con i sindacati.
Alla fine il risultato di questa complicata partita a poker potrebbe portare altra acqua al mulino di Costa. Perché i sindacati dei trasportatori, vista anche l’ostilità dell’opinione pubblica, si sono divisi tra falchi e colombe, e quando arriverà il momento dell’accordo i consensi del Partito socialista di Costa potrebbero salire ancora. Come è già successo alla vigilia delle ultime elezioni europee quando l’abile premier ha messo con le spalle al muro destra e sinistra. L’occasione è stata anche allora fornita da una serie di scioperi per l’adeguamento salariale dei dipendenti pubblici i cui stipendi furono congelati dalla troika.
Visto che il costo era molto alto (una riforma da 800 milioni di euro annui), Costa approfittò di un emendamento votato in Parlamento dalla sinistra che sostiene il governo insieme all’opposizione di destra. A questo punto il capo del governo andò dal presidente della Repubblica mettendo sul tavolo le proprie dimissioni, naturalmente rifiutate.
Ma questo gli servì, negli ultimi giorni di campagna elettorale, per mettere nel mirino destra e sinistra. Accusando il Psd di aver abbandonato il rigore alleandosi con il Partito comunista e il Pcp di aver votato insieme alla destra. Risultato, alla prova del voto di domenica 26 maggio, il Psd crollò al 22,2 per cento, il Pcp andò molto male, mentre il Ps salì al 33,4 per cento.
Adesso il governo Costa si può presentare all’Ue con risultati che l’Italia non può nemmeno sognare: un deficit che nel 2018 è stato dello 0,5 per cento del Pil cresciuto oltre il 2 per cento nello stesso anno e che oggi si attesta all’1,7, l’aumento dei consumi interni, un debito pubblico ancora alto, ma sotto controllo.
Questi risultati hanno permesso di abbassare l’età pensionabile per i dipendenti pubblici, ripristinare quattro giornate festive e innalzare il salario minimo, contribuendo ad aumentarne il consenso del Ps presso l’elettorato popolare. Dimostrazione che la politica di una sinistra riformista che non dimentica di essere sinistra, pur tenendo sotto stretto controllo i conti pubblici, alla fine paga. Anche in tempi di populismo.