Quasi trenta mesi di gestione commissariale non sono bastati a rimettere in pista l’Alitalia. E così anche l’ultima proroga (scadenza 15 ottobre) è diventata la penultima, perché l’ “offerta vincolante” per l’acquisto della compagnia aerea non è arrivata. Adesso si va verso il settimo rinvio dell’amministrazione straordinaria, con i giocatori in campo che, come nel gioco dell’Oca, sono tornati al punto di partenza.
Già, perché Atlantia e Fs i maggiori soci della cordata che dovrebbe rilevare Alitalia hanno posto una serie di paletti che allungano il percorso. Allo stato delle cose è impossibile fare qualsiasi previsione, anche perché sia la società della famiglia Benetton che Ferrovie dello Stato hanno fatto sapere chiaramente che non vogliono avere la maggioranza nel progetto. Quindi bisogna trovare un socio industriale con una quota superiore allo striminzito 10 per cento messo sul piatto dall’americana Delta.
Ma il vero problema è quello rappresentato da Atlantia, che il 2 ottobre ha inviato una lettera al ministro dello Sviluppo economico legando per la prima volta in maniera esplicita la sua presenza nella cordata Alitalia al mantenimento della concessione ad Autostrade per l’Italia. Un vero e proprio aut aut. Poi c’è stato l’incontro con il presidente del Consiglio. A detta delle veline circolate nelle redazioni dei giornali, Conte avrebbe sbloccato la situazione. Ma evidentemente così non è stato.
A complicare ulteriormente le cose è arrivata anche un’altra lettera, questa volta dalla Lufthansa, che si faceva avanti per entrare nell’operazione con un accordo commerciale. Infine i problemi con Delta, la compagnia area Usa che dovrebbe entrare nel capitale della nuova società con il 10 per cento ma vorrebbe dettare legge sulle rotte per il Nord America. Insomma un pasticcio.
Intanto Alitalia, che è in amministrazione straordinaria da maggio 2017, riesce a volare solo grazie al prestito ponte 600 milioni di euro concesso dallo Stato, con l’aggiunta di altri 300 all’inizio del 2018. Adesso però la cassa è quasi a secco: la compagnia, secondo un calcolo fatto dal ‘Corriere della Sera’, sta perdendo 715 mila euro al giorno. Quindi lo Stato dovrà intervenire con un terzo “prestito”. Si parla di 250 milioni.
A conferma del fatto, tante volte sottolineato da ‘Sfoglia Roma’, che il problema è strutturale. Alitalia è troppo piccola per poter competere con i colossi dei cieli e troppo grande per avere la struttura di una low cost.
Naturalmente una soluzione alternativa ci sarebbe, è quella adottata da molti paesi: cedere l’Alitalia a una grande compagnia in grado di farla funzionare. Esattamente come hanno fatto gli spagnoli che hanno venduto Iberia alla British. Noi potevamo chiudere la partita vendendo a Lufthansa, che fino a due anni fa era disponibile all’acquisto. D’altra parte, la società tedesca aveva già rilevato Brussels Airlines, Austrian Airlines e Swiss mantenendole in vita con i loro hub. L’offerta, che era stata praticamente accettata dal governo Gentiloni, prevedeva una pesante ristrutturazione con taglio di personale e rotte per trasformare il vettore italiano in una compagnia regionale. Ma la proposta, considerata inaccettabile da Salvini e Di Maio, alla nascita del governo gialloverde fu ritirata dalla stessa Lufthansa.
E così siamo andati fino ad oggi buttando dal finestrino circa 500 milioni all’anno per inseguire il sogno della grande compagnia aerea nazionale di bandiera. Un sogno irrealizzabile, visto che oggi Alitalia trasporta soltanto l’8 per cento dei passeggeri in entrata e in uscita dal Paese e che in totale non raggiunge i 21 milioni di passeggeri l’anno, meno della svedese Sas.