Visto che non si trovano azionisti privati disposti a prendersi l’Alitalia e a rimetterla in pista, meglio tornare alla gestione pubblica. L’idea è del deputato Stefano Fassina, che a nome di Leu ha presentato un’interrogazione parlamentare al governo per chiedere «se non ritiene necessaria una fase di gestione pubblica temporanea dell’azienda».
Spiega Fassina: «La situazione della compagnia aerea si aggrava di giorno in giorno. Non possiamo più aspettare. Temiamo che, per disperazione, il governo si rassegni ad accogliere il piano industriale del consorzio Fs, Atlantia e Delta. Un piano che nel migliore dei casi è un ‘piano biennale di fallimento’, nonostante l’enorme numero di esuberi che prevedrebbe».
Il problema è che dopo due anni e mezzo di commissariamento, e dopo aver bruciato un altro miliardo e mezzo alla vana ricerca di azionisti privati disposti a rilevarla, la cessione dell’azienda è tornata al punto di partenza. A ottobre l’offerta vincolante non è stata presentata, ufficialmente perché Atlantia chiede altro tempo per mettere a punto un piano industriale adeguato. La verità è che la partecipazione della società della famiglia Benetton all’azionariato che dovrebbe rilevare la ex compagnia di bandiera resta legato alla concessione autostradale. Quindi, bisogna sciogliere il nodo della revoca prospettata dal governo dopo la tragedia del Ponte Morandi. Insomma, un pasticcio.
E così adesso torna l’idea dell’azienda di Stato. La gestione pubblica ha parecchi sostenitori. L’idea non piace soltanto a quel pezzo di sinistra rappresentato da Leu, ma sotto sotto anche a Cinquestelle, alla Lega e a larga parte del sindacato.
Tutti dimenticano che la compagnia di Stato portata al fallimento nel 2008 era un pozzo senza fondo con un indebitamento fuori controllo. Nel 2008, il governo di allora, presieduto da Silvio Berlusconi, spese oltre quattro miliardi di euro, come documentato da uno studio di Mediobanca, per ridimensionare Alitalia, ridurre di 6 mila unità i dipendenti e permettere in tal modo il decollo del Piano Fenice presentato dalla cordata patriottica di imprenditori vicini al governo. Fu un disastro.
Eppure nel 2007 Air France era pronta ad acquisire la compagnia con un’operazione complessiva di circa 2,6 miliardi tra valutazione in Borsa, obbligazioni sul mercato, aumento di capitale, investimenti e debiti che al 31 gennaio 2008 ammontavano a circa 1,3 miliardi di euro. L’operazione era quasi fatta ma ci fu il cambio di governo e Berlusconi, dopo aver sventolato la bandiera della “italianità”, fece saltare l’accordo chiuso dal suo predecessore Romano Prodi.
Per mettere fine a qualsiasi ipotesi di ritorno alla gestione pubblica dell’Alitalia basterebbe voltare la testa per guardare quello che è successo negli ultimi dieci anni. Fallimento di Cai, la cordata che nel 2008 rilevò la compagnia e gettò la spugna dopo aver continuato a perdere 600 mila euro al giorno per quattro anni di seguito. Stessa storia con gli arabi di Ethiad che dopo due anni hanno portato i libri contabili a Palazzo Chigi. Da qui il commissariamento che, fatti tutti i conti, fino ad ora è costato circa un miliardo e mezzo allo Stato. Ma per scoraggiare la tentazione della compagnia pubblica basterebbe il calcolo fatto da Andrea Giuricin, professore presso l’Università Bicocca di Milano, secondo il quale Alitalia, solo dal 2008 a oggi, sarebbe costata ai contribuenti italiani quasi 9,5 miliardi di euro.