Si chiama «decreto liquidità imprese» l’ultimo provvedimento del governo per aiutare gli imprenditori e i titolari di partita Iva rimasti senza un soldo a causa del Coronavirus. «Semplice e immediato», assicuravano come un sol uomo Conte e i suoi. «Garantito al cento per cento dallo Stato senza valutazione di merito» dicevano in coro i ministri economici.
A seguire, titoli, titoloni, grafici e tabelle sui giornali e nei telegiornali. Per non parlare delle interviste “concesse” da vari rappresentanti della maggioranza di governo. Naturalmente impegnati a sottolineare la potenza di fuoco del famoso «bazooka da 750 miliardi per le imprese», di cui aveva parlato il premier durante un discorso televisivo a reti unificate.
Il bello è che a leggere il testo del decreto liquidità sembrava tutto vero. Prestiti fino al 25 per cento del fatturato e con un tetto massimo di 25 mila euro. Soldi che le banche – sulla carta – potevano concedere a vista, senza nemmeno attendere il via libera del Fondo di Garanzia. Prelievo automatico, come si fa con il bancomat.
Che sollievo! Peccato che poi si sia messa in mezzo la burocrazia. Capace, con le sue carte, perfino di fare più danni della pandemia. Già, perché adesso salta fuori che per 15 mila euro di prestito ci vogliono 19 (di-cian-nove) documenti.