Partita sotto un diluvio di prescrizioni, divieti, protocolli e ordinanze, la Fase 2 del Coronavirus continua a riservare problemi, controversie e polemiche quotidiane. Adesso è la volta delle mascherine di Stato a 50 centesimi cadauna.
Annunciate a fine aprile da Domenico Arcuri, commissario straordinario «per l’emergenza Coronavirus», e ovviamente oggetto di apposita ordinanza, le mascherine volute dal governo avrebbero dovuto essere reperibili «in 50 mila punti vendita» a partire dal 4 maggio. «Avrebbero», perché nonostante l’accordo firmato con “Federfarma” in farmacia non si trovano.
Eppure il commissario straordinario nella conferenza stampa di presentazione della sua ordinanza non aveva mostrato dubbi: «Da lunedì 4 maggio i cittadini troveranno le mascherine chirurgiche a 50 centesimi più IVA», precisando anche con burocratica minuzia che sarebbero state subito disponibili «in un punto vendita ogni 1200 abitanti».
Che cosa è successo? Secondo la versione ufficiale ci sarebbe un ritardo nella certificazione, insomma, il solito problema burocratico. Ma secondo la versione non ufficiale le mascherine al «prezzo più basso d’Europa» sarebbero state bloccate sia all’importazione che alla produzione. Esattamente come aveva previsto la Confcommercio, che invano aveva cercato di portare il prezzo almeno a 60 centesimi.
Ovviamente adesso il governo non può fare marcia indietro e a Palazzo Chigi non si nasconde un certo malumore nei confronti delle farmacie. Così si fa largo l’idea di estendere la vendita ai tabaccai. Dove le mascherine di Stato a 50 centesimi rischiano di andare definitivamente in fumo.