Coraggio, tocca rassegnarci. Nessuno sarà lasciato indietro, ma non si andrà avanti se non entriamo nell’ordine di idee che il processo – accelerato dal Coronavirus – è inarrestabile. Adeguarsi.
Chi non si rinnova è perduto. Lo spiega con parole semplici e chiare, il nostro futuro prossimo Danilo Iervolino, fondatore e presidente dell’università Telematica Pegaso. Iervolino è uno che vede e, soprattutto, parla chiaro. Un parlare sobrio e misurato che descrivono fatti, concetti e situazioni. L’intervista rilasciata a “Panorama” è un’eccellente cartina al tornasole. Il Coronavirus ha generato uno sbalzo, una voglia di cambiamento generale, dal quale non si tornerà più indietro.
Fino qui, è chiaro, è la conferma di qualcosa che si era intuito. La nuova situazione impone «nuove regole». Sicuro, è così. Quali? «I materiali didattici, i contenuti proposti, devono essere scientificamente validi…».
Ah! Chi l’avrebbe mai detto… Epperò: «Occorre combinare momenti d’apprendimento sincroni e asincroni».
Ecco, sì, giusto. Basta con la vecchia università concepita nel periodo illuminista… Carducci fissa la fondazione dell’Alma Mater Studiorum università di Bologna intorno all’anno 1088; la Scuola Medica Salernitana che molti considerano la più antica università italiana è del IX Secolo, ma va bene, basta con l’eredità illuminista. E al suo posto? «La formazione deve essere olistica, aperta, trasversale». Questo perché i millennials «sono stanchi di essere anestetizzati in aula, vogliono ascoltare e parlare linguaggi ibridi, contaminativi, veloci. La telematica è uno stimolo travolgente, porta avanti una rivoluzione agile».
Urge «realizzare una flessibilità totale». Urge consentire percorsi formativi «costruiti tramite analisi predittivi». Urge trasformare l’università in «trasformatore dell’energia in potenza dello studente». Urge «maneggiare i big data, inserirsi nell’ecosistema delle start-up…modi inediti di vedere il mondo da parte di chi lo vorrebbe cambiare». Urge realizzare «laboratori con ologrammi, a sessioni con visori e simulatori».
Urge coinvolgere costantemente gli studenti «attraverso e-mail, chat, videochiamate. In una formula: saper osare». Tutto questo perché l’università la si immagina «liquida, con dinamiche in presenza e non. Un ibrido in un flusso unico, globale…Lo studio deve essere come e dove ognuno lo desidera. Va inteso come un abito su misura. Urge un «lifelong learning, apprendimento continuo, slegato dalle fasce d’età…». Urge attraverso «l’eduinfotainment una formazione che non è un macigno, né un sacrificio o una spesa, ma un investimento. Sposa formalità e informalità, educa e intrattiene allo stesso tempo. In sintesi il processo di apprendimento va sdrammatizzato». Urge una istruzione «destrutturata, disintermediata…».
Va bene. Chi è interessato, se la procuri l’intervista completa; è questo il futuro dei futuri studenti della futura società? Magari sì. «Parla come mangi», era l’esortazione di un tempo, quando non si era sincroni e asincroni insieme; e non ci si chiedeva se si era o no olistici, trasversali, anestetizzati, si o no flessibili, si o no predittivi, e ibridi liquidi. «Parla come mangi…». Mangiano proprio male questi profeti del nostro futuro prossimo venturo.