Gentile, sorridente, ironico, corrosivo. Valentino Parlato lo incontravo spesso. Negli anni Ottanta avevamo le redazioni a un passo, nello stesso palazzo. Entravamo tutti e due dallo stesso portone in via Tomacelli n.146, io lavoravo all’”Avanti!” e lui a “il Manifesto”. Ironia della sorte io, superato il cancello d’ingresso, giravo a sinistra per salire al secondo piano ed andare nel mio giornale “organo del Psi, sezione dell’Internazionale socialista”, lui, alla sinistra del Pci, girava a destra per dirigersi al quinto piano, nel “quotidiano comunista”.
Teneva perennemente una sigaretta o tra le dita o in bocca. Fumava, aspirava il fumo, parlava e scriveva. Le sigarette, come per tutti i giornalisti, avevano per lui una doppia funzione: una rituale, meccanica e l’altra psicologica; tutto finalizzato a scaricare la tensione e ad avere un tonico nel cervello per riflettere e scrivere con efficacia. Quando lo incrociavo guardavo con ammirazione la sua esile figura: io ero un giovane redattore del servizio sindacale, lui una grande firma, mi bevevo i suoi pezzi.
Molte volte non condividevo quasi nulla, ma aveva due grandi pregi: scriveva divinamente ed erano articoli veri, ragionati sui fatti, non costruiti su tesi ideologiche predeterminate. Qualche volta riuscivo a scambiare con lui due parole sul marciapiede di via Tomacelli o al Caffè Antille, assieme a qualche altro collega, ed era un piacere. L’unico inconveniente era il tempo: s’infervorava, accompagnava il discorso con larghi gesti del braccio e della mano, sempre immerso in una nuvola di fumo di una sigaretta. Se lo riteneva giusto non esitava a darti ragione: era un comunista coraggioso, dallo spirito libero, laico, antidogmatico.
Al “Manifesto” tenne alta la bandiera della tolleranza e della laicità. Non era una cosa semplice. Allora la Politica si scriveva con la P maiuscola, come per il Giornale si usava la G maiuscola. Traducendo: la politica e il giornalismo allora erano visti non solo come strumenti per rendere più giusta la società, ma come leve palingenetica per cambiare l’Italia e il mondo. Essere laici, in quella cornice, non era per niente semplice. Non a caso Pietro Ingrao bollò come “miglioristi” Giorgio Napolitano e la destra comunista perché puntavano semplicemente “a migliorare” la società capitalista e non a cambiarla in senso socialista. Per me la società capitalista si cambiava con la socialdemocrazia, con le riforme per assicurare lo Stato sociale ai lavoratori, riequilibrare i redditi tra le classi sociali, garantire libertà e diritti umani a tutti.
Mi era simpatico Parlato. Era intelligente e alla mano. Era un comunista eretico, un dissenziente. Nel 1969 fu radiato e non espulso dal Pci quando, assieme a personaggi come Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Lucio Magri, criticò Botteghe Oscure infrangendo il tabù del centralismo democratico perché non condannò l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Come nota Aldo Garzia, suo caro amico ed ex notista politico del “Manifesto”, con «la radiazione si poteva rientrare nel Pci, con l’espulsione no. Magri successivamente tornò nel Pci, Parlato no».
Restò a scrivere al “Manifesto”, con stipendio al minimo (come tutti gli altri redattori), dopo aver lavorato a “l’Unità” e a “Rinascita”, il quotidiano e il settimanale teorico del Pci. Sempre originale, lucido e pragmatico sia come analista politico, sia come direttore del “Manifesto”. È anche merito suo se il giornale non ha chiuso i battenti. Davanti alle ripetute crisi economiche del quotidiano s’ingegnava a cercare finanziamenti. Bussò anche alla porta del Psi di Bettino Craxi (il tesoriere del Partito socialista Vincenzo Balzamo aveva l’ufficio nello stesso portone in via Tomacelli). Ottenne un finanziamento di 60 milioni di lire che poi restituì al Psi.
Era un uomo di grandi ideali ma senza paraocchi ideologici. Era cosciente della situazione comatosa nella quale versava la sinistra europea e, in particolare, quella italiana. Rifletteva su questi terribili anni di crisi e di transizione politica, istituzionale, economica e sociale. Commentava sconsolato: «Servirebbe una rielaborazione del pensiero, ma la sinistra ragiona come se il passato fosse ancora presente». Lo scorso anno votò per la cinquestelle Virginia Raggi come sindaco di Roma. Considerò questa scelta “un tradimento” della sinistra, ma la sua coscienza e la sua laicità di pensiero ancora una volta lo avevano spinto ad andare al di fuori del perimetro del politically correct della sinistra.
Valentino Parlato, gentiluomo e giornalista fuoriclasse, è morto dopo una lunga corsa professionale e politica a 86 anni. Ciao Parlato.