Ieri pomeriggio il presidente della giunta regionale del Lazio Zingaretti dichiara sulla sua pagina Facebook: «È fatta! Dopo 12 anni il Lazio è fuori dal commissariamento della sanità. Ora assunzioni e investimenti per una nuova sanità, ospedali, ambulatori e servizi sui territori. Una vittoria storica!».
Questa volta, mi pare, non dovrebbe trattarsi, come negli anni scorsi, di un annuncio di cose fatte che fatte poi non erano. Non provo sentimenti di partecipazione all’enfasi nè sensazione di vittoria per un procedimento (finalmente chiuso) che nei dodici anni precedenti ha visto solo un risanamento finanziario a “lacrime e sangue” per cittadini e operatori.
Il DCA con cui si è deciso il taglio dei posti letto ospedalieri ha fatto scomparire o ridimensionare molte strutture ospedaliere che potevano essere convertite in strutture sanitarie e sociosanitarie territoriali, ha visto aggravarsi un divario enorme fra la città di Roma e le provincie in termini di quantità ed efficacia dell’offerta pubblica.
L’uscita dal commissariamento ci lascia i servizi sanitari territoriali del Lazio ancora insufficienti, stante la valutazione del ministero della Salute. I sindacati da mesi stanno chiedendo all’assessore D’Amato di potenziare i distretti sanitari con personale e rinnovate tecnologie sanitarie. Non stanno ottenendo risposte alle proposte precise che loro stessi stanno avanzando negli incontri che si succedono.
La Regione Lazio, diversamente da altre Regioni, confida nella buona volontà dell’associazionismo dei medici convenzionati come panacea sostitutiva del ruolo dei distretti sanitari e delle Case della salute in cui non crede e che restano negletti, non potenzia i dipartimenti di prevenzione né crea a livello di Regione una governance integrata sanita/sociale per garantirsi che l’integrazione sociosanitaria si attui davvero a livello locale. I due assessorati su questo tema discutono con le parti sociali e hanno normato e si accingono a normare in modo separato.
Che fine farà la integrazione sociosanitaria? Seguendo oggi la diretta FB sulla pagina, non istituzionale, di Zingaretti si colgono, prevalenti, i commenti che sottolineano le moltissime criticità del SSR e, con toni anche molto aspri le denunce delle responsabilità politiche dei decisori regionali. C’è da tempo una richiesta di cambiamenti. Quello che non si percepisce è una volontà di cambiare da parte della Regione che mostra una routine di sostanziale conservazione di un modello gestionale e di relazioni nel cosiddetto “sistema sanitario” regionale del Lazio che, a giudizio di tantissimi, ha fatto il suo tempo.
Come ha osservato Fabrizio Magrelli, fino a qualche settimana or sono responsabile del Dipartimento prevenzione della più grande delle Asl del Lazio, la ASL RM2: «La gestione manageriale attuale della sanità laziale non prevede il coinvolgimento degli operatori sanitari nella definizione dei percorsi necessari per migliorare l’organizzazione dei servizi sanitari (di socio-sanitario è difficile parlare). Le modalità di gestione top down prevedono la mera trasmissione a cascata della responsabilità di implementazione di decisioni assunte in ristrette cabine di regia. Non funziona, nonostante la rappresentazione che ne viene data dall’alto (chiedetelo agli utenti) e produce malcontento tra gli operatori. Se non si cambia modello di gestione non si va da nessuna parte».
Questo è proprio quanto da tempo e da più parti, inascoltate, viene chiesto alla Regione Lazio. È ora di restituire ai cittadini una sanità pubblica, di tutti e per tutti, qualificata e potenziata.