La Nazionale di calcio italiana nel corso di 120 anni di storia ha sempre avuto un ruolo chiave, ben definito, che si può racchiudere in una parola di sole cinque lettere: sogno. Sogno come fuga dalla realtà, come evasione, come desiderio, forse, irrealizzabile ma non per questo meno agognato.
Quanti italiani hanno, almeno una volta, sognato di sedere in panchina e guidare gli Azzurri alla conquista dei Mondiali come il leggendario Vittorio Pozzo, Enzo Bearzot o Marcello Lippi? Quanti altri si sono immedesimati con Meazza, Rivera, Baggio, Totti e chiudendo gli occhi si sono immaginati con il numero 10 sulle spalle… Se per gioco dicessimo “tutti” sarebbe forse esagerato ma, sicuramente, non sarebbe troppo lontano dalla realtà.
Commissari tecnici e fuoriclasse, veri o mancati, milioni e milioni di italiani hanno sognato, sognano, e sogneranno quella maglietta dal colore unico, inconfondibile, che richiama il cielo e la Madonna, a cui la famiglia regnante dei Savoia era, storicamente, devota. Dai nonni che ricordano Mazzola, Riva, Zoff ai nipotini che collezionano le mitiche figurine Panini di Chiellini e Verratti, il classico fil rouge, questa volta non è rosso come consiglierebbero i cugini d’Oltralpe…ma azzurro.
E allora dobbiamo ammetterlo ci è proprio mancata la nostra Nazionale. Una selezione che neanche le due Guerre Mondiali avevano mai fermato. Come non ricordarsi la partita disputata all’Olimpico di Roma, nel 1943, tra la Rappresentativa Bersaglieri e quella dell’Aeronautica? In campo figuravano il leggendario Silvio Piola, l’inventore del doppio passo Amedeo Biavati e l’immortale fornaretto, Amadeo Amadei, l’ottavo Re di Roma. In panchina, neanche a dirlo il C.T. Pozzo, che guiderà i suoi ragazzi fino al 1948 e che ancora oggi rimane il selezionatore più vincente di sempre: due Coppe del Mondo (1934, 1938), una Olimpiade (1936), due Coppe Internazionali.
Successi, trofei, record che sono durati fino ad oggi: basti pensare che solo lo scorso anno, infatti, venne battuta la sua striscia di vittorie consecutive.
E indovinate da chi? Da Roberto Mancini. Ben dieci i risultati vincenti di seguito per l’allenatore di Jesi, fortemente caldeggiato da Giovanni Malagò dopo, non ci vogliate il gioco di parole, la sventura targata Giampiero Ventura che ci costò la qualificazione a Russia 2018.
È vero, negli Anni Trenta-Quaranta il numero limitato di squadre (ai campionati del mondo ne partecipavano solo 12) rendeva ogni partita, estremamente, più complicata, il livello di ogni calciatore era altissimo, basti pensare all’Ungheria dell’astro nascente Puskas, alla Svizzera di mister Rappan (l’inventore del catenaccio) oppure al mitico Wunderteam austriaco del Mozart del calcio, Matthias Sindelar…
Altri tempi, un altro football ma non per questo si deve trascurare o minimizzare il filotto positivo dei nostri Azzurri. In questo calcio moderno in cui la preparazione atletica ha superato, di gran lunga, l’abilità tecnica e in cui l’impostazione di un gioco difensivo è diventato un’abominevole onta di cui vergognarsi, se da un lato ha aumentato lo spettacolo dall’altro lo ha reso più incerto e imprevedibile.
Per tornare all’attualità, la sensazione che abbiamo avuto, nelle ultime gare post Coronavirus, contro Serbia e Olanda, è di una squadra azzurra davvero ben organizzata che in campo sa, molto bene, cosa fare e soprattutto che impone, fin dal fischio d’inizio, il suo gioco. Manca forse qualcosa in avanti ma fino a giugno 2021 c’è tempo e ricordiamoci che seduto in panchina affianco del nostro C.T. c’è un certo Gianluca Vialli, chi meglio di lui potrà trovare il suo erede, quantomeno andarci vicino.
Il prossimo Europeo, il primo itinerante dal 1960 ad oggi, sarà una magnifica opportunità anche per Roma che ospiterà ben quattro partite. Vederla oggi deserta, la nostra Capitale, con le sue piazze più belle svuotate dai turisti e incredibilmente silenziose, è uno scenario davvero surreale che fa male al cuore e soprattutto non può durare.
E allora saremo banali, romantici, oppure solo incredibilmente innamorati del pallone ma di una cosa siamo sicuri: se gioca la nostra Nazionale vuol dire che la bufera o meglio l’emergenza è finita e finalmente si può tornare alla normalità, alla vita.
La realtà che lascia spazio al campo…ai gol…al sogno…appunto.