L’immagine dei rappresentanti politici seduti al lungo tavolo rettangolare della sala di Montecitorio di fronte al presidente incaricato Mario Draghi, che se ne sta da solo e riempie pagine di appunti, fotografa perfettamente il personaggio.
Niente social, nessuno staff per la comunicazione, pochissime parole. Un marziano. Freddo, gentile, riservato. Il volto immobile di una sfinge, che lo rende impenetrabile, non lo fa nemmeno assomigliare a un italiano nato e cresciuto a Roma. Il nuovo governo guidato dall’ex presidente della Bce è previsto per fine settimana, ma la sua composizione resterà top secret fino alla presentazione della lista dei ministri al Quirinale.
Ricevuto l’incarico, SuperMario ha fatto una dichiarazione nella sala stampa del Quirinale. Due minuti e mezzo in tutto. Un record. Ma sufficienti per definire subito il perimetro: governo di “emergenza nazionale”. Giustificato dalla pandemia, certo, ma anche dal fallimento dei partiti politici. Con buona pace di chi a botta calda invocava ancora una “maggioranza politica”.
Nel giro di 48 ore, la morte della Terza Repubblica veniva certificata dall’azzeramento del quadro politico nazionale e dalla resa senza condizioni dei leader politici. Tutti, a destra e a sinistra. Seduto di fronte al “marziano”, che continuava a prendere appunti, ogni rappresentante di partito, ha dovuto bere il suo amaro calice. Salvini, la fine del sovranismo e il no alla flat tax. Grillo, il governo con Berlusconi e non solo. Zingaretti, la fine della “centralità” del Pd che si era impiccato da solo, puntando tutto su Conte e sulla maggioranza giallo-rossa.
Anche sui ministri, non c’è stato niente da fare. A chi gli chiedeva con quale criterio avrebbe scelto i responsabili dei dicasteri, il “marziano” rispondeva invariabilmente: «Con un solo criterio, quello della competenza». Anche al momento del congedo il saluto agli ospiti era sempre lo stesso: «Ci vediamo in Parlamento…».