Uniti si vince, divisi si perde. Il centro-sinistra tira un sospiro di sollievo dopo le elezioni per i sindaci. Questa volta il Pd e le tante sinistre diverse hanno evitato una sconfitta. Nei circa mille comuni nei quali si è votato domenica o ha vinto o ha conteso il successo al centro-destra. Non era scontato.
L’alleanza tra il Pd e le varie sinistre ha funzionato. Così è successo anche nelle maggiori città: Genova, Palermo, Catanzaro, L’Aquila, Taranto, Parma. Si è ritornati al vecchio bipolarismo tra centro-sinistra e centro-destra. Il M5S, il terzo polo affermatosi nelle elezioni politiche del 2013, è il grande sconfitto: nella maggioranza dei casi nemmeno parteciperà ai ballottaggi per i sindaci, tra due settimane.
Sono giorni magici per Giuliano Pisapia, l’uomo che vuole dare vita a Campo progressista. L’ex sindaco di Milano da alcuni mesi sta lavorando per costruire un “nuovo centrosinistra”, un’alternativa progressista di governo contrapposta ai populismi, a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo. Si è candidato alla leadership di una sinistra unita e ha dato appuntamento a tutti il primo luglio a Roma.
La sua ricetta funziona, come dimostra il voto per i sindaci. Adesso certamente aumenteranno i “corteggiatori” e gli “strattonatori” dell’ideatore di Campo progressista, già comparsi prima delle elezioni amministrative.
Tra i più entusiasti c’è Pier Luigi Bersani, uscito dal Pd e tra i fondatori del Movimento democratico e progressista (Mdp). È una delle tante scissioni, quella realizzata lo scorso febbraio, che hanno costellato una legislatura nata male nel 2013. L’ex segretario democratico andrà alla manifestazione di Pisapia nella capitale: «Il primo luglio ci sarò e saremo in tanti». Ma ognuno intende l’unità a modo suo. Gli scissionisti del Pd vogliono l’accordo con Pisapia, ma osteggiano quello con Renzi. Roberto Speranza continua a imputargli la scissione realizzata contro «un uomo solo al comando». Stefano Fassina (Sinistra italiana) e Pippo Civati (Possibile) non vedono spazi di discussione. Entrambi hanno abbandonato il Pd in polemica con il segretario e sono contrari ad una intesa con l’uomo accusato di “subalternità” alle politiche della destra.
Matteo Renzi, dopo il fallimento dell’accordo con il trio Berlusconi-Grillo-Salvini sulla riforma elettorale, ha aperto le porte al dialogo con Pisapia. Su questa strada lo spingono anche Gianni Cuperlo ed Andrea Orlando, i leader delle due sinistre del partito. L’occhio del segretario del Pd è rivolto alle elezioni politiche: insieme conta di superare il 40% dei voti e ottenere il premio di maggioranza alla Camera. Però è stato cauto: «Noi ci siamo, vedremo cosa farà lui». Porte aperte, dunque, al confronto con Pisapia ma non con gli scissionisti del Pd, perché hanno rotto sulla base «di un atavico odio ad personam» contro di lui. Qualche mese fa il capogruppo democratico al Senato Luigi Zanda ha definito «imbarazzante» un eventuale dialogo con gli scissionisti.
I problemi non sono pochi sulla strada di una coalizione, dopo anni di scontri tra Renzi, le sinistre esterne, come Sel di Nichi Vendola, e le sinistre interne protagoniste di tre diverse scissioni negli ultimi tre anni (prima sono usciti Civati e Cofferati; poi Fassina; quindi Bersani, Speranza, Enrico Rossi e D’Alema).
Pisapia è consapevole delle difficoltà. Vuole evitare ogni subalternità verso Renzi e lo ha sfidato a realizzare elezioni primarie di coalizione. I punti centrali del suo programma sono la lotta alle disuguaglianze sociali e il riequilibrio tra il Nord e il Sud, ma niente nuove tasse. È fiducioso: «Credo che una sinistra unita e responsabile, all’interno di una coalizione di centrosinistra, abbia già dimostrato di saper governare e di farlo bene».
La situazione è in movimento, soggetta a mille variabili. Una cosa è sicura: l’era dell’autosufficienza del Pd, in versione renziana e veltroniana, è finita e si va verso un ritorno alle coalizioni. I sondaggi elettorali giorni fa hanno assegnato l’8% dei voti ad una eventuale sinistra unita guidata da Pisapia, mentre il Pd viene accreditato attorno al 30%. Tirando le somme è quasi il 40% dei voti, la soglia per far scattare il premio di maggioranza a Montecitorio.
L’ex sindaco di Milano è visto come un asso vincente ed è “strattonato” da una parte da Renzi e dall’altra dalle differenti sinistre, in parte critiche o contrarie al dialogo con il segretario del Pd. Pisapia prima dovrà ricomporre le divisioni delle frammentate sinistre e poi pensare ad un’intesa con Renzi. È un percorso praticabile ma complicato. Comunque nell’impresa di costruire “una sinistra non rancorosa” sembra che possa contare su Romano Prodi, l’inventore dell’Ulivo, l’uomo che è riuscito a battere per due volte Berlusconi alle elezioni politiche.