Draghi va in Libia e l’Italia rimette un piede nel paese nord africano. Il presidente del Consiglio ha incontrato a Tripoli Abdul Hamid Dbeibah, il nuovo premier alla guida di un governo di unità nazionale.
Dall’incontro, forse un po’ a sorpresa, è emersa una piena sintonia. Draghi ha indicato la volontà di ricostruire «un’antica amicizia» e di «partire in fretta». Dbeibah ha esposto una linea di «cooperazione strategica» con l’Italia. Il primo ministro vuole «riattivare» l’Accordo di amicizia sottoscritto nel 2008, all’epoca di Muammar Gheddafi.
La Libia, dopo dieci anni di guerra civile, è semidistrutta ed ha bisogno di tutto: infrastrutture civili e industriali, ospedali. La cooperazione può ripartire dall’energia, difesa, sanità, cultura, immigrazione. I paradossi sono tanti: la Libia, pur essendo detentore di enormi risorse di petrolio e di gas, vede scarseggiare perfino l’energia elettrica e la benzina. Tra i primi progetti cantierabili c’è la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli distrutto dalle bombe e l’edificazione della lunghissima autostrada costiera dalla Tunisia all’Egitto, solo in minima parte già avviata dall’Italia.
Il primo problema però è la stabilità politica quindi la sicurezza. Dal 2014 la Libia è stata divisa in due: a ovest la Tripolitania governata da Fayez al Sarraj, ad est la Cirenaica guidata dal generale Khalifa Haftar. Nel 2019 la contesa è degenerata in guerra: Haftar ha attaccato e cercato di conquistare Tripoli. Il governo Conte, sostenitore di Fayez al Sarraj, ha fallito nei tentativi di portare la pacificazione. Nel sanguinoso conflitto sono intervenute militarmente anche la Turchia e la Russia: la prima ha appoggiato Tripoli e la seconda Bengasi. Tuttavia non c’è stato un vincitore sul campo, lo scorso ottobre è scattata una tregua a Ginevra, a febbraio è nato sotto gli auspici dell’Onu il governo di unità nazionale presieduto da Abdul Hamid Dbeibah che a marzo ha ottenuto la fiducia del Parlamento. È un esecutivo di transizione che dovrà portare la nazione alle elezioni politiche fissate per il prossimo dicembre.
La Libia, però, è ancora instabile, non è del tutto pacificata. Manca un esercito nazionale, spadroneggiano le varie milizie, imperversano le bande criminali, il terrorismo islamico tenta di rimettere le radici. La Turchia e la Russia cercano di mettere a frutto in termini politici ed economici i rispettivi predomini militari.
Però Draghi va in Libia accompagnato dal ministro degli Esteri Di Maio, si apre uno spazio per l’Italia. Il presidente del Consiglio e Dbeibah più volte hanno sottolineato la necessità di difendere «l’unità» e «la sovranità libica» da ogni interferenza. Libia e Italia sono complementari: la prima è ricca di risorse energetiche, la seconda ha le conoscenze tecnologiche e le aziende in grado di utilizzarle al meglio. L’Italia, unico paese al mondo, non ha mai chiuso la sua ambasciata a Tripoli anche quando cadevano le bombe. L’Eni è una presenza storica.
Draghi intende rinnovare e ampliare le relazioni con la Libia anche per conto dell’Unione europea e in stretto rapporto con la Francia, potenza europea in tradizionale competizione con l’Italia. I rapporti con Joe Biden sono buoni e il nuovo presidente americano non sembra volersi disinteressare del nord Africa.
Tornato a Roma il presidente del Consiglio è tornato a parlare di Libia. La scortese offesa patita dalla Ue e da Ursula von der Leyn lasciata in piedi da Erdogan in Turchia? La risposta del premier italiano è una rasoiata: occorre cooperare anche «con questi dittatori» (un chiaro riferimento al presidente turco) ma nella «differenza di vedute, di comportamenti, di visioni».
Draghi va in Libia: è la prima visita ufficiale all’estero come presidente del Consiglio. L’Italia cerca di rimettere un piede in Libia, ma non sarà facile. Turchia, Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar probabilmente non resteranno a guardare.