Deciso, decisissimo. Draghi è quasi brutale sulla carta verde anti Covid e sulla riforma della giustizia. Il messaggio sul green pass e le vaccinazioni è diretto a Salvini. Primo: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente». Secondo: «Un uso esteso del green pass non è un atto di arbitrio ma una condizione per le aperture» per sostenere l’economia e l’occupazione.
Il presidente del Consiglio ha difeso con parole aspre, in una conferenza stampa, il decreto del governo per accentuare la lotta ai contagi del Coronavirus, in netta ripresa anche in Italia per l’esplosione della pericolosa variante Delta. Dal 6 agosto la carta verde sarà necessaria sopra i 12 anni per partecipare a molti appuntamenti sociali al coperto: per cenare all’interno dei ristoranti, per assistere ad eventi sportivi al chiuso (tipo stadi), per l’ingresso a spettacoli (nei cinema, teatri, concerti, musei). Fino a qualche giorno fa Salvini, invece, aveva criticato l’uso del green pass e la realizzazione di vaccinazioni generalizzate (ai giovani vaccinarsi «non serve» e chi ha tra i 40 e i 59 anni può decidere liberamente).
Draghi ha fatto seguire alla secca replica rivolta al segretario della Lega anche una seconda, altrettanto netta, a Conte. Sulla riforma della giustizia è pronto ad accogliere solo dei «miglioramenti dii carattere tecnico». Ed ha annunciato la richiesta del voto di fiducia al Parlamento sul provvedimento. Ha chiosato: «La fiducia non è minaccia di elezioni». Il candidato a presidente del M5S (in attesa di elezione da parte degli iscritti cinquestelle) nei giorni scorsi aveva chiesto di cambiare in Parlamento la riforma della giustizia: «Non posso derogare a principi che il Movimento ha sempre considerato fondamentali».
Il gioco si fa duro. L’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha attaccato il disegno di legge di riforma del processo penale, anche il Consiglio superiore della magistratura (Csm) è orientato a formalizzare la bocciatura. E i grillini hanno già presentato circa 1.000 emendamenti alla Camera. Gira anche l’ipotesi delle dimissioni per protesta dei ministri pentastellati. La ministra alle Politiche giovanili Fabiana Dadone prima non ha escluso l’idea delle dimissioni («È una cosa da valutare insieme a Giuseppe Conte»), poi ha effettuato il repentino dietrofront (si è detta «certa» di trovare dei «punti di incontro» con il presidente del Consiglio e la ministra della Giustizia Cartabia). La marcia indietro non è certo una sorpresa. Beppe Grillo assicurò il suo consenso a Draghi sulla riforma Cartabia; il Consiglio dei ministri l’approvò all’unanimità, anche con l’assenso dei pentastellati.
Draghi ha effettuato una sortita in chiave decisionista, di cesarismo dolce. Per adesso le reazioni di Salvini sono dialoganti: si è vaccinato («Salute, lavoro e libertà devono stare insieme»). Conte, invece, per ora tace.